La Russia cerca un regalo speciale per lo zar Fabio

Possono accadere cose strane nella vita di un uomo di football. Per esempio l'arbitro fischia l'inizio della partita e, contemporaneamente, si festeggia l'anniversario, stando seduti in panchina. Non al parco ma in uno stadio del Mato Grosso. Fabio Capello compirà, a mezzanotte e un secondo, anni sessantotto. Quando Nestor Pitana, arbitro argentino, darà il via alle danze di Russia-Corea del Sud, il Gigante di San Canzian di Isonzo dovrà badare a Kokorin e Shatov, Fayzulin e Berezutski, piuttosto che alle candeline sulla torta che sua moglie Laura e tutta la Capello United hanno preparato.
E' bella la vita di Fabio Capello, lontano da tutto e da tutti ma presente sempre con il proprio lavoro, serio, rigoroso, efficace. Nell'epoca degli spacciatori di football Capello è rimasto uguale a se stesso, ha accentuato la sua bazza, gli occhiali lo hanno reso professorale, temuto dovunque e comunque, ha imparato, migliorato, scoperto, studiato ma senza scivolare e cadere mai nelle trappole dello star system. Italia, Inghilterra, Spagna, oggi la Russia, sono terre di esplorazione e di conquista, senza piazzare bandiere e salire sul podio per comizi e propaganda.
In modo pirandelliano Fabio è così se vi pare, nessuna possibilità di smussare gli spigoli del suo carattere, di trascinarlo in contese dialettiche, non ci sono riusciti la sua dolce Laura e il figlio Pier Filippo, avvocato capace di interpretare le norme di legge ma non sempre gli sguardi e i silenzi di suo padre.
Di certo un altro padre, anzi il padre di Fabio, Guerrino, come sua madre, Evelina, mai avrebbero potuto immaginare che il loro "frut", il loro ragazzo, sarebbe partito, un giorno, dalla dimora di via Ortigara a Ferrara, la prima esperienza con la Spal, alle luci della piazza Rossa con il Cremlino incluso. Il calcio fa di questi scherzi, Capello non ha mai voglia di fermarsi e guardare il cielo e le stelle, parlando e sparlando di tutto e di tutti.
Ama partire, viaggiare, andare per mari, scendere tra rocce e onde, trovare luoghi di incanto, sognati a scuola sull'atlante, scoperti come farebbe un esploratore, e poi musei, pinacoteche, ascoltando musica, leggendo libri, insomma un uomo normale e un allenatore eccezionale assieme, o se volete scambiare gli aggettivi, il prodotto resta uguale, alla ricerca della vita trascurata tra un allenamento e un calcio d'angolo. Se a Madrid frequentava la lingua e a Londra l'aveva imparata, a Mosca si è trovato di fronte il muro di un idioma impossibile, anche se il linguaggio del football resta universale. Il problema è stato affrontato e risolto. Capello stanotte, alle due, ora di Mosca, sarà lo zar di tutta la Russia ma anche di una fetta di noi italiani orgogliosi. Gioca per un mondiale per la seconda volta da allenatore, dopo che l'ultimo, in Sudafrica, era finito male alla guida dell'Inghilterra. Poi continuerà la sua avventura fino al Duemiladiciotto, ultima stazione della sua carriera. In verità non ha alcuna voglia di fermarsi: «Mi piace l'idea di poter viaggiare anche da morto, l'idea di una tomba non mi piace.

Già deciso: cremazione, ceneri al vento e via».
C'è tempo per volare nell'aria e nel tempo. Prima c'è il football, prima c'è un mondiale, prima c'è la vita. Ancora. E a mezzanotte, al fischio di inizio, auguri, vecio.

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