Il salto in alto di Alessia scrive un romanzo olimpico

La malattia dell'allenatore lascia sola la Trost. E sabato in gara l'azzurra sarà seguita proprio da papà Tamberi

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato

a Rio de Janeiro

Saltare in alto per guardare più in basso, dritto negli occhi di un uomo che soffre. Saltare in alto mettendo a frutto anni di lavoro e sacrifici per poi osservare lo sguardo di una giovane donna disorientata, di un padre allenatore che osserva il figlio con mezza barba e tristezza intera. Saltare in alto per raccontare di un grande tecnico e di una grande allieva, di un genitore ex campione e di un figlio grande campione. Quattro destini incredibilmente incrociati sotto un'asticella. Non è favola, non è romanzo, è olimpiade.

Gianfranco Chessa e Alessia Trost. Marco Tamberi e Gianmarco Tamberi. Ad un tratto pare che la disciplina più esile e armoniosa, più sofisticata e tecnica dell'atletica sia diventata un lungo intreccio di umane storie. Saltare in alto per sognare un podio, una medaglia, chissà di che colore, non è più solo un complicato esercizio, ma anche e soprattutto vita vera da affrontare e in mezzo a cui districarsi.

Perché sabato Alessia sarà sola in pedana e però non più sola. Perché ieri Gianmarco ha assistito, infortunato e impotente, ad altri che facevano il mestiere suo. Cioè vincere l'oro nell'alto (il canadese Drouin, 2.38, argento al qatariota Barshim 2.36, bronzo l'ucraino Bondarenko 2.33). Altri che lui aveva battuto prima di farsi male e che, se solo la caviglia non lo avesse tradito, avrebbe sconfitto di nuovo e «vi prego, svegliatemi da questo incubo» aveva urlato. E perché sabato l'allenatore, l'uomo che ha seguito e lanciato Alessia Trost, Gianfranco Chessa, trepiderà per lei da lontano, mentre è costretto a fare avanti e indietro dall'ospedale per riuscire, sì, lui, a superare l'asticella più alta che ci sia. Quella di una fottuta malattia. E perché Marco Tamberi, ex primatista italiano di alto, padre di Gianmarco, suo allenatore da sempre, sabato sarà accanto proprio ad Alessia, per darle quella guida, quella presenza fisica che purtroppo, ora, Chessa non può garantirle.

Solo che come in tutte le umane storie, basta un nulla a deviare le certezze di una scelta di per sé logica come quella che ha spinto Alessia, 23enne vice campionessa europea indoor (2.00), a chiedere aiuto al tecnico marchigiano che aveva gestito e diretto la lunga rincorsa ai Giochi di Gianmarco. E così, anche se non dovrebbe succedere, dramma umano e dramma sportivo si sono incrociati. Chessa che a un mese da Rio ha scoperto la malattia, Tamberi che a nemmeno un mese dall'olimpiade ha osservato incredulo il proprio figlio volare in alto a Monte Carlo, vincere, battere i rivali olimpici, ipotecare futura medaglia ai Giochi e un attimo dopo perdere tutto infortunandosi. E visto che il dramma umano è sempre più grave e devastante di quello sportivo, se non giustificate, vanno almeno comprese, capite le parole pesanti con cui il tecnico che ha cresciuto Alessia ha commentato questa scelta. «Passione, impegno, sacrifici personali e familiari profusi per anni con l'obiettivo di raggiungere il sogno più grande per un atleta ed un allenatore: Olimpia». Questo il commovente sfogo di Chessa su facebook. «Poi» ha proseguito, «all'improvviso una brutta bestia dentro il tuo corpo ti mette ko, ti costringe ai box e ti impedisce di soffrire e gioire assieme a chi con te ha condiviso passione, impegno e sacrifici». Parole pesanti, parole sofferte che però lasciano spazio a un'amarezza che nel momento sportivo difficile per la ragazza, forse andava frenata. «Questo è anche il momento in cui si scatenano gli avvoltoi pronti ad attribuirsi meriti inesistenti, per aver scambiato qualche parola o visto dei filmati e a rovesciarti addosso le colpe di eventuali insuccessi». Parole verso chi? Parole che in molti ritengono indirizzate anche a Tamberi padre. Che qui, onde evitare polemiche, si è tenuto lontano da tutto e tutti. Tranne che da Alessia.

Allenatore e allieva, separati, lontani, spezzati nel momento inseguito una vita. E Alessia risponde, anche lei via social, ma con la delicatezza femmina di una figlia devota. «Non dovrei commentare questo post e altrettanto probabilmente dovrei nascondere e proteggere i sentimenti che abbiamo vissuto, che viviamo ogni giorno e che vivremo. O forse no. Forse dovrebbero solo sciogliersi dentro e, goccia dopo goccia, distillare nel profondo una pozione esplosiva: una pozione, perché magica è la forza che muove una persona verso il proprio obbiettivo; esplosiva, perché è stata alimentata quotidianamente per produrre un effetto di fuoco». Parole che sanno di preghiera e vita, di speranza e sole.

«Siamo quasi arrivati, Gianfranco, siamo quasi arrivati alla fine di un percorso che avevamo immaginato diverso, più semplice e sicuramente meno imperfetto; questo, però, non sbiadirà l'immagine che voglio portare dentro quella pedana per nessun motivo, ci abbiamo messo tanto per colorarla. Te lo prometto».

Guardatela bene Alessia, sabato. Fissatele gli occhi. Osservate l'asticella, il cuore. Non sarà favola. Non sarà romanzo. Sarà molto più di un'olimpiade. Molto di più.

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