L'elogio di Napoli e del Napoli. La prima conferenza partenopea di Spalletti è quella giusta, almeno a giudicare dai contenuti e dalle mezze promesse. Non poteva però non mancare un riferimento ironico al passato più o meno recente, non all'Inter, cioè a ieri, ma alla Roma, dunque all'altro ieri.
«Mi dispiace che la serie tv su Totti non abbia avuto grandi ascolti ma sono felice di avergli dato la possibilità di fare una fiction, aveva però i contenuti per farla anche su sé stesso. Se me l'avesse detto, gli avrei girato un paio di scene così faceva il pienone».
Da Roma a Napoli, dalla città dei Papi a «quella di San Gennaro, dove calcio e miracoli sono una sola cosa. La città e forte, la squadra è forte, Napoli completerà il mio tour dell'anima. Non vedevo l'ora di entrarci e iniziare a lavorare, da quando me l'hanno detto non gli ho staccato gli occhi di dosso, mi piace Napoli, mi assomiglia e perciò bisogna andarci dentro. Sono orgoglioso perché siederò sulla panchina del Maradona e allenerò la squadra del più forte giocatore di tutti i tempi».
Niente nomi, con Insigne ha già parlato e lo rifarà tra qualche giorno. Ride quando viene fuori il nome di Emerson Palmieri («può darsi che ci abbia parlato»), per il resto va bene quello che oggi passa il convento: «Dobbiamo essere pronti su quello che accadrà sul mercato ma sarei contento se questa squadra non venisse smantellata». Che, tradotto, significa: caro presidente, cerchi di non cedere Koulibaly, Fabian Ruiz, Zielinski, Insigne e Lozano.
D'obbligo il ringraziamento a Gattuso. «Ha svolto un lavoro eccezionale, ora bisogna puntare alla zona Champions. Per questa ragione, i ragazzi sono in debito con me e gli spiegherò perché. Mi piace la canzone dei tifosi sarò con te, tu non devi mollare, abbiamo fatto stampare questo slogan sui fratini di allenamento perché la squadra è in debito anche con la gente: la città ci tende una mano e noi abbiamo l'obbligo di ripagare tanta passione».
Osimhen pedina centrale del suo progetto, il 4-2-3-1 schema di base ma si svolterà spesso verso il 4-3-3, l'obiettivo Champions come ossessione e «come immagino la squadra? Vorrei che assomigliasse alla città, un Napoli sfacciato, di scugnizzi pronti a mostrare il proprio talento su ogni campo. E in ogni competizione: perché non si dovrà mollare niente, campionato, coppa Italia ed Europa League».
Era in panchina in quell'Inter-Juve di tre anni fa che costò lo scudetto a Sarri ma
glissa. «Non posso aiutarvi, è difficile sindacare sugli arbitri». Dulcis in fundo: andrà d'accordo con il presidente? «È uno che dice le cose in faccia e quindi sono a posto. Il matrimonio sarà lungo, speriamo lunghissimo».
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