Spalletti tra Roma e Inter è ancora tutto un mistero «Non meritavo i fischi»

Non è chiaro perché va via e se sarà nerazzurro E su Totti: «Con me ha giocato un anno in più»

Marcello Di Dio

Roma Nel giorno del secondo divorzio dalla Roma (anzi, sarebbe meglio dire distacco visto che già nel 2009 fu lui ad andarsene da Trigoria) si attendevano dichiarazioni al vetriolo. E quanto meno che l'ormai ex tecnico giallorosso raccontasse i reali motivi del suo congedo. Ma le frasi iniziali del ds Monchi («questa è e resterà sempre casa sua») e quella finale di Luciano Spalletti, citando l'epitaffio sulla tomba di Califano («non escludo il ritorno») hanno avuto l'effetto di sminare polemiche di sorta.

Così spariscono d'incanto i più che presunti dissidi con la società nell'ultimo mercato di gennaio, quando il tecnico aveva chiesto dei rinforzi mai arrivati. Questo è stato il momento in cui Spalletti ha realmente iniziato a pensare che il suo rapporto con la Roma stava finendo. Escludendo dunque di andar via per contrasti con i dirigenti - anzi rilancia addirittura il «famostostadio» in sostegno al progetto di Pallotta - o perché ha già un accordo con l'Inter (che in effetti ancora non c'è, ma potrebbe arrivare la prossima settimana, ndr) «e comunque sono libero e da adesso in poi prendo contatti con chi mi pare...», il motivo principale è - parole sue - di non essere «riuscito a compattare l'ambiente». «E i fischi di domenica ne sono la prova. Non me li merito, potete dirmi che sono schifoso e maledetto, ma ho sempre lavorato per la Roma e sono una persona per bene. Forse qualche errore l'ho commesso (nella fase clou della stagione, ndr) ma credo che non sia un limite non aver vinto titoli perché sono passati tanti anni dall'ultimo e c'è il rischio che ne passino altri. Io e il mio staff abbiamo lavorato bene, lascio una Roma che può guardare al futuro, forte e con individualità importanti. Potevamo fare meglio e non sempre abbiamo remato tutti dalla stessa parte...».

Quei fischi sono, per lui, la più grande sconfitta, visto che per numeri è stato il miglior allenatore della Roma degli ultimi quindici anni. «E anche se domenica fossero arrivati applausi, non sarebbe cambiato niente, i fischi li ho sentiti anche prima. Gli allenatori vanno via da soli da qui per il contorno che si verifica». In realtà, durante i sei anni della gestione americana, solo lui e Luis Enrique hanno scelto di andare via, tutti gli altri non sono stati confermati.

Ma l'argomento principale dell'ultima conferenza da tecnico della Roma non poteva non essere il suo rapporto con Totti. Il vero tallone d'Achille dal suo ritorno a Roma 18 mesi fa. «Francesco lascia un vuoto incolmabile, ma l'esaltazione di un singolo elemento disturba tutti, anche il singolo stesso appiattisce gli altri - sottolinea Spalletti -. Se lui ha giocato poco e nonostante questo la Roma ha fatto il record di punti, significa che si può fare anche senza di lui. Anzi, adesso diventeremo amicissimi. Se il problema ero io che continui, ma lui ha smesso da solo, non sono io che l'ho fatto smettere. Anzi semmai l'ho fatto giocare un anno in più. Gli ho voluto strabene».

Intanto il settimanale Chi, in edicola oggi, rivela che tra i piani futuri di Totti, oltre a rimanere nella Capitale come vicepresidente della Roma, potrebbe esserci il sì alla proposta dell'amico Alessandro Nesta, allenatore del Miami calcio. Scartate le offerte provenienti dalla Cina, la carriera del numero dieci potrebbe quindi concludersi negli States. Proprio la patria - il vero paradosso - del patron giallorosso James Pallotta. Il futuro in panchina della Roma sarà invece Eusebio Di Francesco, che già nei prossimi giorni potrebbe accordarsi con il clan giallorosso.

«Un candidato ideale per la sua bravura e perché conosce l'ambiente», l'investitura di Spalletti. Di Francesco potrà contare sul capitano del futuro De Rossi, a un passo del rinnovo biennale, e su Strootman, fresco di accordo fino al 2022. Sul resto, ancora grandi punti interrogativi. Tranne l'addio di Spalletti...

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