«Vorrei precisare che questo incontro non è stato organizzato per smentire quanto è uscito sui giornali in questi giorni». Erick Thohir non ha la faccia del questuante, sorride e dice subito: «Qualcuno di voi ricorda quando sono arrivato qui nel novembre del 2013? Ero solo. Dicevano che non capivo. Invece non è così, io capisco e so perfettamente che devo capire meglio cos'è la serie A. Tutto sta cambiando, il mondo sta cambiando, aziende e società sportive comprese, sono stravolgimenti importanti. Io capisco anche che non abito qui e sarebbe importante esserci almeno una volta al mese. Del resto ci sono pochi club nei quali il presidente è quotidianamente accanto alla squadra».
Questo cosa comporta?
«Sono diverso, prendetemi per quello che sono. Non sono italiano, ho una visione differente dalla vostra. Ovviamente penso all'Inter ma penso anche alla serie A che vorrei più competitiva, le manca appeal. In Lega si discute sui diritti, ho visto la torta che i club si devono spartire e ho pensato che è troppo piccola per quanto può valere la serie A. Perché non si parla di diritti televisivi mondiali? Ho colloqui costanti con i miei collaboratori e so quanto accade, ho mandato perfino un sms a Kondogbia per il suo compleanno. Ma per cambiare l'Inter ci vuole tempo».
Da dove ha iniziato?
«Da un management forte, sportivo, finanziario, imprenditoriale, amministrativo. Non sono certo che tutto quanto ho fatto finora sia stato giusto ma mi sento soddisfatto, dopo due anni ho un management di grande qualità, buoni calciatori e Mancini. I risultati sono altalenanti, lo so, lo vedo, ma vorrei ricordarvi che stiamo lavorando su un business plan quinquennale. Non stiamo improvvisando, personalmente sto mettendo grandi energie, ci ho messo dei soldi, e quando sbagliamo sappiamo qual è il passo successivo che dobbiamo compiere. So che pensate subito ai soldi, bene, quando abbiamo perso, abbiamo immesso denaro».
Su cosa vi state concentrando?
«Investimenti, immobili, immagine, giocatori. Ci servono buoni giocatori. Ma ora la mia attenzione è molto diretta verso l'area del Pacifico, una potenzialità enorme di 264 milioni di fans, solo in Cina ci sono 113 milioni di possibili sostenitori dell'Inter, e trovare la chiave giusta per aprire questo mercato è il futuro. Per ora dall'Asia sono entrati solo 1,5 milioni, è poco, lo so, ma intanto qualcosa è entrato. Qui ci sono per tutti grandi possibilità. Su questo fronte noi non ci arrenderemo mai».
Avete dato mandato a Goldman Sach, una delle più grandi banche d'affari del mondo, di cercare un socio?
«No, ho chiesto a Goldman di vagliare eventuali partner locali per organizzare eventi e nuove attività. Lavorare con loro è fondamentale perché conoscono il territorio e il mercato meglio di me. Poi se questo potenziale partner, che al momento non c'è, vorrà anche quote societarie si può fare, ma non ora, dopo soli due anni dal mio ingresso. Non dovete stupirvi di tutto questo, in Inghilterra i maggiori club sono in mano a iraniani, russi, americani, cinesi, emirati arabi. Il Milan sta cercando di farlo, noi lo stiamo facendo alla luce del sole, ma so che in Italia altri club stanno lavorando con la Cina sottotraccia. Se trovi qualcuno che ti aiuta a crescere, io dico: perché no?».
L'Inter deve adeguarsi al fair play finanziario, quanto vi pesa?
«È una priorità. La Uefa ha capito i nostri sforzi, è a conoscenza del nostro progetto, noi prima di acquistare un giocatore, o anche mettere sotto contratto Mancini, abbiamo parlato con la Uefa. Il fpf non è nato per sanzionare le squadre ma per evitarne i fallimenti. E l'Uefa ci sta dando una mano. Noi dobbiamo stare in un rosso massimo di trenta milioni e io credo che il prossimo anno arriveremo al pareggio, così come concordato».
Si parla di un rosso pesante...
«Abbiamo avuto ricavi per 180 milioni, più della scorsa stagione, e in questa non eravamo neppure in Europa League. Siamo cresciuti del 10 per cento, penso sia un segnale positivo. Noi dobbiamo arrivare ad avere ricavi per 230 milioni e entrare nella top ten dei club europei. Senza questa cifra non possiamo comprare e dobbiamo cedere. Li abbiamo 230 milioni, ma non è così che si fanno le cose. Il nostro business non è il mercato dei calciatori».
E se non entrate in Champions?
«Sarà una grande delusione ma non un disastro. Sappiamo cosa fare, certamente senza Europa ci sarà bisogno di una rosa più stretta. Ma siccome qui il risultato del campo è fondamentale, noi non ci dimenticheremo mai di mettere sempre in campo una formazione competitiva».
Delusi per non poter gestire San Siro da soli?
«Ci abbiamo lavorato sopra due anni, abbiamo presentato in Comune un progetto ricco dopo aver sentito manager e designer. Poi il Milan ha cambiato idea a e noi gli abbiamo offerto il nostro progetto. Lo stanno esaminando senza obblighi. La Juventus ricava 40 milioni a stagione dalla gestione del suo stadio».
E con Moratti?
«Mr Moratti ha diritto di tenere le sue quote e io sono
felice così. Prima lui ha voluto me, poi sono stato io a volere lui. Lui non vuole comprare le mie quote e io non voglio comprare le sue, altrimenti quando ho preso l'Inter avrei acquistato il 100 per cento della società».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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