"Via Totti, via l'ultima bandiera Adesso sventolano solo i soldi"

L'ex rossonero: «Lasciai per aiutare il tecnico e poi divenni vicepresidente». Proprio ciò che ieri ha suggerito Spalletti

"Via Totti, via l'ultima bandiera Adesso sventolano solo i soldi"

È stato una bandiera ed è stato un bambino prodigio. Era sulla bocca di tutti minorenne come Donnarumma ed era il simbolo di Milano come Totti lo è della Roma anche se è a Roma che adesso vive Gianni Rivera, per molti il più grande giocatore italiano di tutti i tempi, Pallone d'oro, Italia-Germania 4-3, i formidabili anni '60. E che ora battezza la sua Accademia del calcio. Che insegna, prima di tutto, l'amore per il calcio.

Rivera, ha visto la festa che l'Olimpico ha fatto a Totti?

«In televisione: ero a Battipaglia a presentare il mio libro».

É stata una grande festa, molto commovente...

«Se la meritava. Era e resta un grandissimo campione».

Lei vive a Roma da tanti anni. Cos'è Totti per Roma?

«Totti è la romanità, Totti è Roma. É l'aria della città».

Perchè la bandiera di Milano vive a Roma?

«Perchè quando sono entrato in Parlamento stavo più a Roma che a Milano. Poi a mia moglie Laura, che è milanese, Roma piaceva moltissimo».

Totti ha detto: adesso che smetto ho paura.

«Ognuno la vive a modo proprio. Capirà lui, piano piano, come muoversi, cosa fare, dove andare. Intanto pare che giocherà ancora per un po'».

A lei come andò?

«Per me fu diverso. Allora era già scritto che diventassi vice presidente del Milan».

É la stessa cosa che ieri Spalletti ha proposto per Totti. Dice che è quello che lui vuole. Lei però non decise subito di smettere.

«Avevamo appena vinto lo scudetto della Stella. Però...».

Però?

«Quando il Milan cambiò allenatore decisi di smettere. Non volevo che la mia presenza creasse problemi a un tecnico giovane come Giacomini».

Altrimenti avrebbe continuato a giocare?

«Penso di si, ma lasciare mi sembrava più corretto. Allora dissi: preferisco smettere prima di finire in ginocchio».

Quindi Totti avrebbe dovuto lasciare prima?

«Non ci casco. Totti ha fatto le sue scelte e la società forse ha fatto fatica a fargli capire che non la pensava come lui».

Zico ha detto: un calciatore muore due volte, la prima quando smette di giocare...

«Non è proprio così ma smettere è pesante lo stesso. Solo quando comunicai il mio ritiro mi resi conto del trauma: avevo perduto il divertimento che mi aveva accompagnato per trentacinque anni».

E poi?

«Mi sono gradualmente rassegnato, ma sentivo qualcosa di diverso in me. Devi entrare in un'altra logica, sapere che sarai un'altra persona».

Lei ha detto che Totti sarà l'ultima bandiera.

«Sarà difficile che in Italia uno possa restare per sempre nella stessa squadra. Sono i soldi ora che decidono se sarai una bandiera oppure no».

Sembrerebbe il caso di Donnarumma...

«Oggi i calciatori non ragionano più con la propria testa ma anche con quella dei procuratori, non sono più proprietà delle società ma di chi li assiste. Dire io sono tifoso è un lusso che nessun giocatore può più permettersi».

Anche lei però ventenne rifiutò le proposte del Milan perchè troppo basse?

«Certo. Giocai senza ingaggio per tutto l'anno. Poi vincemmo lo scudetto. E recuperai tutto con gli arretrati».

Lei oggi farebbe come Totti o come Donnarumma?

«Non mi ponga il problema. I tempi sono molto cambiati».

Ma il calcio così che fine fa?

«Un esempio c'è: il piccolo Lorenzo Bonucci che tifa Toro anche se il papà è un campione della Juve. A 5 anni ha insegnato con candore che non conta solo il denaro e che vincere non è l'unica cosa che conta: il calcio è cuore e sentimento. Ci voleva un bambino a dare lezioni al mondo del calcio».

Che è un po' ciò che insegnerà alla sua Accademia.

«Cominciamo il 18 giugno a Roma, è aperto a tutti i bambini fino ai 12 anni. Insegniamo tecnica, ma anche educazione, rispetto per le regole, l'amore per il calcio. C'è tutto sul mio sito www.giannirivera.it».

E la Champions?

«Può essere la volta buona per la Juve. Il Real più forte ma sa come diceva Rocco?

Mi dica...

«Vinca il migliore? Speremo de no...»

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