L'urlo di Tardelli. D'accordo. I baffi di Gentile. Idem. Il silenzio stampa. Ok. I gol di Pablito, nel senso di Rossi. Ci siamo. La parata di Zoff sul colpo di testa di Oscar. Anche quella, in archivio. Pertini e Agnelli in tribuna al Bernabeu. Già ricordati. Ma quell'11 luglio di trentasei anni fa conserva altri sapori e memorie. Giorno unico, ore irripetibili accanto ai monumenti del giornalismo, della scrittura, della narrazione. Perché quell'avventura spagnola fu vissuta con Giovanni Arpino e il suo trigemino maligno che lo assediava di continuo. Perché quella finale contro la Germania vide Gioanbrerafucarlo esaltarsi come mai avevo visto. Perché quella partita incredibile consentì a Mario Soldati di vivere una giornata spasmodica e spossante.
Eccoli i nostri maestri, riuniti ma non uniti, dalle pagine di sport, di calcio, di quella passione che raggruma idee e spiriti diversi, opposti e che permette di liberare poi, oltre agli istinti, la gioia, la malinconia, la festa, il pianto. Arpino-Brera-Soldati. Dove sono oggi questi insegnanti? Che fine hanno fatto le loro lezioni? Chi sono i nuovi docenti? Quelli che strepitano in tivvù o in tribuna stampa? Quelli che scrivono sotto dettatura di wikipedia? Dunque, l'11 luglio fu la data dell'evento, lo stadio di Madrid era italiano, le strade di Madrid erano italiane, il mondo era italiano. Quando Antonio Cabrini sbagliò il rigore pensammo che la nostra avventura era ormai finita.
Quando Uli Stielike si accasciò sul prato del Bernabeu capimmo che era finita la storia spagnola della Germania. Giovanni, Gioàn e Mario battevano sui tasti delle loro Olivetti. Era musica fantastica. Una dolcissima notte. Lontanissima. Ma sempre più vicina.
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