
I fuochi d'artificio della Roma stordiscono il Milan e lo fanno retrocedere pesantemente nelle retrovie dell'alta classifica. L'esito della sfida dell'Olimpico è di quelli che non consentono doppiezze, a dispetto del finale, 4 a 2 che potrebbe anche sapere di un dominio in bilico: spettacolare e perfido il calcio esibito dagli allievi di Zeman per larghi tratti, diciamo per oltre un'ora di gioco, troppo fragile la trincea rossonera per non finire travolta dalle geometrie e dalle giocate dei rivali. In quota il deficit delle sentinelle milaniste è umiliante: tre dei quattro gol subiti arriva da cross vellutato e colpo di testa di Burdisso, Osvaldo e Lamela. Nonostante precedenti clamorosi, la Roma, nel frattempo ridotta in dieci dall'espulsione di Marquinhos, sale a quota 32 e comincia a riveder le stelle della zona Champions. Il Milan si regala appena un finale incoraggiante scandito da un assalto ordinato ed efficace, ma ci vuole altro per ambire a raggiungere la concorrenza storica.
Forse è un peccato di presunzione quello commesso da Allegri (affrontare cioè sul terreno del pressing il maestro Zeman), forse è l'inevitabile dazio da pagare quando la differenza di cifra tecnica tra la difesa (del Milan) e l'attacco (della Roma) è talmente vistosa da creare addirittura una voragine dalla parte di Amelia. Fatto sta che il 3 a 0 apparecchiato in meno di mezz'ora dalla Roma nella prima frazione è il plastico sbocco di una sfida segnata dalla perfetta esibizione degli uomini di Zeman, una sola sbavatura a dispetto del fuorigioco spericolato ordinato da Burdisso, e dalla difficoltà milanista nel trovare spazi e intese, se non in una clamorosa occasione preparata da Robinho e sprecata da El Shaarawy sullo 0 a 1.
Il peccato di presunzione è anche figlio di un (errato) calcolo tattico preparato in settimana da Allegri: arretrare Boateng per creare il valico nel quale lanciare Nocerino che finisce col fare il centravanti, ma a vuoto. Lo smarrimento della Roma dinanzi a quel Milan dura appena qualche minuto, i primi 10, prima di esaltarsi in un paio di prodezze in quota che smerigliano la qualità dell'attacco giallorosso: di testa è insuperabile. E così può imporre lo stacco imperioso di Burdisso su angolo (complimenti a Mexes e Yepes che se lo perdono) nel primo gol, o quello altrettanto prepotente di Osvaldo (Yepes ne subisce l'esuberanza fisica) nel secondo per poi esaltarsi in una fase che è tutta figlia del calcio di Zeman: sull'uscita di una palla difensiva tra Constant e De Sciglio, il pressing romanista va a nozze con De Rossi che "pesca" Lamela smarcato in area.
In una parola è il centrocampo della Roma a mettere sotto quello del Milan nel quale Ambrosini arranca, Montolivo risulta asfissiato da Bradley mentre Nocerino abbandona spesso la sua zona per dedicarsi a velleitari assalti. De Rossi è un dominatore assoluto: da auto-lesionisti rinunciare al suo contributo.
Quando il centravanti del Milan diventa Pazzini, secondo logica, nella seconda frazione quindi, è già tutto deciso, scolpito dal quarto sigillo di Lamela (tanto per cambiare di testa su cross dell'ispirato Balzaretti) e la sconfitta, dura, durissima, diventa una lezione inflitta dal calcio di Zeman e dalla Roma mentre le dimensioni del risultato si avvicinano a quelle datate '97 - '98, con il boemo sulla stessa panchina e Fabio Capello generale dei rossoneri: finì 5 a 0 e segnò il divorzio tra il tecnico e i berlusconiani. La modesta reazione rossonera si infrange sulla diga di Goicochea, già decisivo su El Shaarawy nel primo tempo e più tardi abilissimo nell'opporsi a Boateng (aiutato dal palo) e a Bojan e si conclude col rigore di Pazzini e la stoccata dello spagnolo sulla prodezza di El Shaarawy.
Ancora poco per meritarsi qualche indulgenza natalizia nel giudizio. Il quinto posto rimane un miraggio.Mentre la Roma, che chiude in 10 uomini (espulso il migliore della difesa, Marquinhos), lancia la sua candidatura per inseguire da vicino Fiorentina e Inter, oltre che il Napoli.