Spunta l'evasione dell'Avvocato: l’ovatta mediatica attorno agli Agnelli

Le vicende tributarie della famiglia più nota d’Italia non sono state trattate come uno scandalo. Pace col fisco: 100 milioni di multa

Spunta l'evasione dell'Avvocato: 
l’ovatta mediatica attorno agli Agnelli

Gianni Agnelli, l’Avvocato, avrebbe oggi ottantanove anni. Probabilmente, anzi sicuramente, sua figlia Margherita non avrebbe litigato con Franzo Grande Stevens e con Gianluigi Gabetti. Probabilmente, anzi sicuramente, nessuno avrebbe saputo di patrimoni depositati all’estero, di vitalizi per le maitresses, di fondazioni e operazioni finanziarie in territorio non italiano. Gianni Agnelli non c’è più dal ventiquattro di gennaio dell’anno Duemila e tre e da quella notte, anzi nelle ore immediatamente successive (al mattino venne ugualmente convocata la riunione dell’accomandita di famiglia!) è incominciata un’altra saga della dinastia più illustre del Paese. Sette anni per sapere e non capire, sette anni tra battaglie in tribunale, liti tra parenti e serpenti mentre sullo sfondo restava e resta quel bottino ultra miliardario nascosto alla stessa famiglia e, soprattutto, all’Erario. Un’evasione fiscale clamorosa, del più potente imprenditore italiano, una fuga dal dovere civile, sociale, di un senatore, a vita, della Repubblica.
Eppure non senti odore di scandalo, non si ha notizia di processi mediatici in televisione, in prima serata, nessun dibattito, nessun confronto per approfondire il fenomeno: il fenomeno di una famiglia che per mezzo secolo ha dominato la scena industriale e politica del Paese, esportando all’estero, oltre il denaro succitato, un’immagine positiva, affascinante, colta ed elegante dell’Italia altrimenti caciarona, mandolinara, spaghettara.
Il problema, dunque, non è la responsabilità, tutta da accertare, dell’Avvocato e dei suoi «tutori» nella gestione clandestina del patrimonio: se ne occuperanno i tribunali; il problema, piuttosto, riguarda il bavaglio che la stampa, tutta, ha voluto indossare (uso un verbo gentile) in questi ultimi anni, mesi, su una questione che con altri personaggi e interpreti ha provocato invece scalpore, denunce, prime pagine corredate da fotografie e mappe di spostamenti e residenze fittizie.
Valentino Rossi è stato uno di questi casi, da eroe a diavolo, da simbolo dell’Italia sana e vincente a bandiera nera del pirata furbo e manigoldo, comunque costretto a presentarsi in conferenza stampa, ad ammettere l’errore e a riparare previo versamento allo Stato dell’importo multimilionario. Così accadde anche per Luciano Pavarotti, protagonista dell’unica stecca della sua carriera, un’evasione di ventiquattro miliardi di lire che lo portò al patteggiamento, in televisione, davanti all’allora ministro delle Finanze, Ottaviano Del Turco (guarda i casi della vita nostrana), una stretta di mano, la concessione del pagamento a rate, non «comode» come si usa dire con cifre meno feroci. Dunque tutti i particolari di cronaca, il faccione in prima serata durante i telegiornali nazionali, regionali, locali, gli insulti e i fischi del popolo abituato a passare da piazza Venezia a piazzale Loreto.
Ma con Agnelli? Per favore. Con il miliardo e passa di euro nascosto altrove? Niente. Con le fondazioni e le azioni anche queste off shore? Niente ancora e sempre. Il silenzio, qualche riga nelle pagine interne del quotidiani, notizie del contenzioso familiare tra Margherita e donna Marella e via, per non scomodare il monarca che non c’è più e per non infastidire chi ne ha preso il posto. Questo poteva accadere, anzi accadeva, nei favolosi anni dell’altro secolo, quando la figura dell’Avvocato era così imponente da mettere tutti, quasi tutti, comunque molti, compresi i suoi parenti, in silenzio rispettoso, all’ombra timorosa. Al massimo il mormorio di quartiere, le voci della fabbrica, la «Feroce» nei confronti di «Risula» (per il capello riccio), al massimo le scudisciate, in prima pagina con spillone rosso sull’Unità, di Fortebraccio, al secolo Mario Melloni, che nei suoi corsivi chiamava il padrone della Fiat «l’avvocato Basetta il quale preferisce farsi chiamare con lo pseudonimo di Gianni Agnelli».
Una leggenda, che sembra però assai verosimile, riferì che il film «Il silenzio degli innocenti» ebbe questo titolo soltanto nella nostra lingua, conservando all’estero, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, l’originale «Il silenzio degli agnelli». Bastava il rumore dei passi, l’annuncio che si sarebbe appalesato il signor Fiat e si creava il vuoto, tutti pronti alle riverenze «Arriva Agnelli, scortato da Luca Cordero di Montezemolo che non è un incrociatore» fu una delle cento battute di Mario Melloni.
I Fortebraccio contemporanei non conoscono Shakespeare, ma sembra che non conoscano nemmeno l’avvocato Basetta, lo evitano eventualmente, se la cavano dicendo che ormai appartenga al passato, preferiscono glissare sull’evasione miliardaria che, a contarli uno per uno quegli euro, sono roba da finanziaria tremontina.

Meglio andare sul bersaglio facile, il centauro, il cantante, il musicista: fanno copertina, garantiscono l’audience. Meglio tenersi alla larga da quella montagna di soldi scomparsa nel nulla, meglio il silenzio. Il silenzio dei colpevoli.

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