Cultura e Spettacoli

Una spy story di lusso senza tante assurdità alla 007

Un megacast con Omar Metwally, Meryl Streep, Alan Arkin racconta con realismo la storia di un egiziano rapito dalla Cia

È nella rassegna Première della Festa di Roma Rendition (qui traducibile in Rapimento) di Gavin Hood, che evoca un fatto dei tanti, per lo più rimasti senza eco, degli ultimi sei anni. Nella realtà ne è noto uno più degli altri, quello che accadde a Milano, quando i servizi segreti americani rapirono Abu Omar, portandolo segretamente in volo in Egitto, dove fu chiuso in un carcere, torturato dalla polizia locale e poi rilasciato. Differenza fra questo episodio e quello del film? A Milano e al Cairo c'erano dei magistrati; nell'imprecisato Nord Africa - ma si è girato a Marrakech - di Rendition no. Dunque, in Rendition, inquisitore, torturatore e liberatore - di un egiziano (Omar Metwally) emigrato negli Stati Uniti - è sempre e solo un agente della Cia (Jake Gyllenhall). Il caso poi esploderà sulla stampa americana, perché l'origine dei fatti è l'aeroporto di Chicago e perché la moglie (Reese Witherspoon) del malcapitato, cittadina degli Stati Uniti, s'è rivolta al portaborse (Peter Sarsgaard) di un senatore (Alan Arkin), rivale della funzionaria della Cia (Meryl Streep) che autorizzò il rapimento di Stato. Morale: giustizia c'è, se si ha un santo in paradiso.
Gavin Hood, autore di Tsotsi (premio Oscar), è sudafricano, quindi ha cultura inglese. E infatti nel suo film, denso e teso, coerente e misurato, non ci sono né buoni, né cattivi per partito preso: gli antagonisti hanno pari dignità di nemici, sono sullo stesso piano etico e politico. Basterebbe questo perché Rendition, auspichi l'incontro, non lo scontro di civiltà.
Per trovare un film di spionaggio a questo livello, senza assurdità da 007, occorre risalire a Syriana di Stephen Gaghan, prima dell'11 settembre 2001, a Spy Game di Tony Scott. Meno complesso di loro, Rendition è però più efficace per lo spettatore medio, abbastanza superficiale da accontentarsi della didascalia «Nord Africa» per designare il cuore degli eventi.
Vista la realtà alla quale s'accennava all'inizio, il Paese al quale si allude, noto per le prigioni e le torture, potrebbe essere proprio l'Egitto, alla cui disinvolta polizia Yussef Chahine, il più noto regista locale, ha dedicato l'acre Chaos, visto all'ultima Mostra di Venezia.
Il cast di Rendition è vasto e soprattutto ben più noto di quello di Chaos, ma anche qui non c'è un vero protagonista: la vicenda è corale e si svolge su due, vicini, piani temporali. Ma questo lo spettatore lo scopre solo alla fine, che è lieta, dunque improbabile. L'analogo Missing di Costa-Gavras (1982), ambientato nel Cile del 1973, non aveva voluto cedere alla tentazione di illudere...
Si direbbe l'ottimismo l'unico difetto di Rendition, perché Rendition dimostra, per il resto, alta professionalità. Qui, come nei due film succitati e negli inediti Redacted di Brian De Palma e In the Valley of Elah di Paul Haggis, impressiona che cresce sempre il numero di attori, sceneggiatori, produttori, registi e distributori (sono ormai apertamente le major) impegnati contro la Casa Bianca.

È la quieta insurrezione contro Washington da parte di Hollywood, che così a lungo ne era stata il ministero della Propaganda.

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