La stanza di Mario Cervi

Il patriottismo repubblicano resistenziale festeggia incoerentemente i 150 anni della costituzione del Regno d’Italia spacciandola spudoratamente per unità d’Italia. Il 17 marzo 2011 sarà per me, esule istriano, una beffa ancora più atroce del 10 febbraio 1947 e rappresenterà l’ennesima occasione di amarezza per la mia terra perduta. Una strofa poco conosciuta dell’inno di Mameli dice «Giuriamo far libero il suolo natio, uniti per Dio chi vincer ci può». Era il programma di lotta risorgimentale. Nel 1861 mancavano Venezia, Roma, Trento e Trieste, l’Istria, Fiume e Zara. La vera e compiuta Unità d’Italia sarà raggiunta solo nel 1918, ma nei musei del Risorgimento dell’Italia repubblicana ci si ferma al 1870 con Roma Capitale. Un esule come me che cosa dovrebbe festeggiare? Un’Unità d’Italia senza la nostra terra né allora né oggi? Forse dovrei festeggiare l’Italia che dagli anni ’70 considera la Prima guerra mondiale non come completamento del Risorgimento con la IV guerra d’indipendenza, ma come una guerra imperialista, un «inutile massacro» del quale vergognarsi? L’Italia non commemora più il 4 novembre come festa della vittoria, ma la ridimensiona a festa delle forze armate e la sacrifica come data per far posto alla festa unitaria. Forse dovrei festeggiare un’Italia che dopo l’infausto otto settembre non difese i suoi confini né come Regno del Sud né come Repubblica Sociale; forse dovrei festeggiare l’Italia repubblicana che al «maggio radioso» ha sostituito «l’aprile luminoso» e attraverso un revisionismo storiografico ideologico anti italiano, collegando direttamente e arbitrariamente il Risorgimento alla Resistenza rimuove decenni di battaglie dell’esercito italiano e offre tristemente la bandiera per celebrare la vittoria alle manifestazioni sportive; questa Italia che con un atto di alto tradimento rinunciò alla zona B stipulando il trattato di Osimo nel 1975, dimenticando che l’art. cinque della Costituzione recita «L’Italia è una e indivisibile». La mancata veritiera rievocazione storica porterebbe a credere che le Associazioni degli Esuli diserteranno le manifestazioni ufficiali, ma non è così la vanagloria dei nostri dirigenti non ha limiti, li vedremo come sempre in prima fila sorridenti e felici a rappresentare loro stessi. Io spero, però, che i veri esuli espongano il tricolore a mezz’asta o con un nastrino nero. È l’Istria la mia Patria.

L’amore per la mia terra nuovamente irredenta e rinnegata da un’Italia che non ci ha mai amato mi porta a dire che il 17 marzo quando gli italiani si stringeranno a coorte, al grido l’Italia chiamò, io risponderò: no.
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