Mentre in Italia molte amministrazioni comunali pensano a come istituire le «stanze del buco», luoghi dove i tossicodipendenti possano drogarsi in «modo assistito e sicuro», negli Stati Uniti città come New York, Los Angeles e Chicago dispongono finanziamenti per le writers room.
Non si tratta, e in questi tempi di assistenzialismo vandalico ci si potrebbe confondere, di luoghi per assistere i graffitari ma di oasi di silenzio per aiutare i più creativi a ritrovare la propria vena (inventiva). Scrittori e sceneggiatori, aspiranti narratori e autori già affermati, trovano nelle writers room il luogo ideale per concentrarsi: lontani dalle interferenze domestiche e dai rumori della città trovano ospitalità in appartamenti gestiti da cooperative no profit che affittano ai propri soci uno spazio comune dove lunica regola è «non disturbare». Non si pensi a vecchie topaie per Bukowski in aspettativa: molto spesso, è il caso di New York, le writers room sono in case eleganti e in posizioni strategiche. La «colonia di scrittori urbani di New York», a esempio, ha la propria sede tra l8ª Avenue e la Broadway.
Nata trentanni fa su iniziativa di alcuni giovani autori che volevano condividere laffitto di un ufficio, la colonia newyorkese ha fatto scuola in tutta America e quella che per molti era unesigenza è oggi fra i trend più diffusi. I soci sono 300 ma per iscriversi bisogna mettersi in fila: la lista dattesa, in virtù di questo nuovo boom dinchiostro, è piuttosto lunga e ha suggerito ai soci di aprire in città altre tre sedi. Al costo di 100 dollari al mese (in molti casi essenziali per abbattere i costi sono i contributi della pubblica amministrazione e degli enti culturali), si ha diritto a un tavolo, una lampada e un collegamento a Internet. Il vantaggio è che le writers room sono aperte 24 ore su 24 tutti i giorni: orari che in Italia ci sogniamo e che da noi fanno ormai solo i Blockbusters. Se vogliamo affittare un film lo possiamo fare in qualsiasi momento, ma se vogliamo accedere a una biblioteca la missione diventa quasi impossibile: già è difficile durante gli orari dapertura, con le sale invase e ormai quasi ovunque appaltate dagli studenti, figurarsi a Natale.
In Italia, certo, iniziano a funzionare i bar sempre più attrezzati con connessioni senza fili a Internet: ma a parte la sensazione di sentirsi (appesi) in un quadro di Edward Hopper non è sempre facile coniugare lora felice del proprio ristoro creativo con gli happy hours che ormai si moltiplicano come se ogni minuto ci fosse da festeggiare chissà che. Senza contare che lo scrivere guardandosi in giro, senza la frenesia da manager al led calibro 22, è ancora visto con sospetto. Anche per questo, nelle writers room americane molto frequentati sono gli spazi comuni: perché laltro vero nemico di scrittori o giornalisti free lance è lalto rischio di isolamento. E quello che a molti potrebbe sembrare un luogo per perdigiorno, in 30 anni ha dato risultati piuttosto lusinghieri: sono oltre mille i libri scritti in queste stanze e poi pubblicati. Tra i frequentatori più assidui A.M. Homes, lautrice de La sicurezza degli oggetti e Michael Berg, sceneggiatore del film danimazione LEra glaciale. Non mancano anche le stelle del cinema: Brooke Shields, a esempio, proprio nelle writers room newyorkesi ha scritto Down came the rain, il suo libro di memorie diventato un best seller.
Perché tra queste stanze cè anche la possibilità di incontrare editor e agenti letterari che, raccontano le cronache culturali, vi si muovono come «cacciatori di teste». Un capovolgimento quasi copernicano: non è più lo scrittore ad andare in casa editrice, ma sono gli editori a venire in casa, pur comune, dello scrittore.
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