Il silenzio del rettore della Statale, Enrico Decleva finisce in una manciata di minuti in uno scontro verbale durissimo con i ragazzi dei centri sociali che lo prendono d’assalto nell’atrio dell’Università, sfiorando quasi il contatto fisico. «Squadristi, teppisti e prepotenti. Ecco quello che siete, dovete finirla. Avete anche il coraggio di definirvi di sinistra, ma voi avete preso solo il peggio». Le 14.15 del pomeriggio. La seconda giornata di mobilitazione contro la Cusl, l’ormai tristemente nota libreria dei giovani di Cl messa sotto assedio dalla sinistra estrema è appena iniziata (e prevede tra l’altro l’occupazione simbolica della biblioteca centrale per chiedere l’apertura serale delle biblioteche). Ce ne saranno una trentina non di più, di militanti antagonisti. Due di loro si staccano dal branco e in segno di sfida, attaccano l’ennesimo cartello con i nomi dei ciellini che hanno denunciato per rapina i «compagni». Ancora una gogna pubblica, dopo che l’altro pomeriggio erano state cancellate le scritte sui muri della facoltà. Ma l’elenco della vergogna questa volta dura giusto il tempo di sistemare l’ultimo pezzo di scotch. Dopo una settimana di latitanza, Decleva lo strappa con rabbia e toglie tutti gli altri volantini contro Cl. Si fa largo tra i banchetti di cibo dei centri sociali in mezzo a un odore di aglio e cipolla che appesta il tempio del sapere e intima di finire, di smetterla con queste pagliacciate. Ma loro provocano ancora. Gli chiedono come mai abbia deciso di prendere una posizione solo ora, dopo tutto quello che è successo. Gli domandano se per caso non abbia iniziato a scrivere per il Giornale. E poi l’affondo. Un coro che tira in ballo la moglie di Decleva che secondo i centri sociali sarebbe stata indagata. «Datemi i vostri nomi e cognomi. Se continuate a dire queste cose, vi querelo» sbotta il rettore. Volta le spalle ai ragazzi che lo tormentano ancora con canti e ritornelli e si dirige verso il corridoio della facoltà. «Non ho nulla da dire, questa è una questione tra me e loro» risponde prima di infilarsi nelle scale che portano al rettorato.
Mentre di là, a pochi metri dalle aule dove i ragazzi discutono le loro tesi, tra il fastidio e il disagio degli altri studenti, i centri sociali continuano la protesta. Sistemano un altro striscione tra due bacheche e un cartello sui banchetti del cibo per una raccolta fondi a favore dei cinque arrestati. Birra, vino a 1,50 euro e libri a metà prezzo. «Hanno fatto bene a rubare le fotocopie. Quelli della Cusl non pagano l’affitto e si prendono 25mila euro all’anno per fare due giornalini che non escono mai». Il ragazzo con gli occhi di ghiaccio cerca di spiegare le ragioni dei compagni che hanno rubato 800 fotocopie. Ripete frasi come fossero slogan di cui ignora il significato. «No, non proprio. Non direi che è stato un esproprio proletario. Però, è giusto che non abbiamo pagato le fotocopie. E ora mettere i nomi di quegli infami che li hanno denunciati, è una questione di giustizia». Già, giustizia. «E poi certo che era una provocazione, certo che l’hanno fatto apposta ad andare lì da loro» borbotta mentre si accende una sigaretta.
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