Hanno esagerato, apposta. Semplice, terribilmente e banalmente semplice: meglio un allarme eccessivo e alla fine fuori misura, che trovarsi a contare i morti, i feriti e i danni. L’America ha imparato dall’orrore Katrina: non ci sarà più un solo uragano che non sarà preceduto da avvertimenti abbondanti e straordinari, non esisteranno eventi prevedibili e previsti che non saranno anticipati da una prevenzione esagerata. Irene potrebbe passare alla storia come un «al lupo al lupo», però sarà anche la prima grande tempesta del post Katrina a essere gestita senza crisi. Obama non sarebbe sopravvissuto a un disastro: il presidente in difficoltà aveva bisogno di un’organizzazione perfetta, di una prevenzione impeccabile, di un apparato perfettamente funzionante. L’America ha resistito anche perché ha esagerato, anche perché ha pompato i rischi affinché i cittadini eseguissero alla lettera le indicazioni delle autorità.
Il pre e il post Katrina fallirono anche su questo: la gente fu poco guidata e poco obbligata a comportarsi nel modo giusto. Bush ha pagato politicamente e personalmente quegli errori: l’uragano di New Orleans e della Louisiana si è abbattuto sulla sua presidenza con una violenza inaudita che ha portato mezzo mondo a pensare che fosse tutta colpa del presidente e della Casa Bianca. Bush c’entrava fino a un certo punto: nel 2005 fallì un intero sistema, eppure ancora oggi, dopo sei anni, è lo stesso ex presidente a parlare di quei momenti con rammarico, definendo «un errore» molte delle scelte che il Paese prese in quelle ore.
Obama non poteva non sapere che l’emergenza Irene era un appuntamento fondamentale per la sua credibilità di leader e di comandante in capo. L’uragano ha salvato New York, Washington e anche il presidente. Alle prese con un grado di popolarità in picchiata, vittima della crac dell’economica e della cattiva gestione delle conseguenze politiche della crisi, Obama ha giocato d’anticipo: s’è fatto vedere pronto, s’è fatto trovare preparato. Poi ha deciso: ha preferito andare incontro alle critiche per l’eccesso di zelo che a quelle per la malagestione. Quelle che sono già arrivate, perché ora che la situazione è più tranquilla, che lo scenario peggiore non si è verificato le polemiche sono già cominciate.
I repubblicani hanno cominciato a chiedersi se la reazione del sindaco di New York Michael Bloomberg e, più in generale, del Fema (la protezione civile americana) e dello stesso presidente Barack Obama non sia stata eccessiva. Per dirne una, a New York l’intero sistema di trasporti pubblici non era mai stato completamente bloccato, neppure dopo gli attacchi dell’11 settembre. Non è solo una questione emotiva, di cautela esagerata o di aspettarsi il peggio e sperare nel meglio. È questione di costi, quelli dei danni materiali e per la ricostruzione delle zone danneggiate. A New York tutti i teatri di Broadway sono rimasti fermi, lo stesso i cinema, i ristoranti e i locali notturni che tutti insieme fanno girare un indotto di miliardi di dollari, andato in fumo nel fine settimana. Senza contare i problemi provocati a chi doveva andare al lavoro e non ha potuto per il blocco dei mezzi di trasporto pubblici.
Obama ha preferito questo. Ha messo in conto due giorni di critiche sui giornali e in Congresso rispetto a mesi di assalto sull’inadeguatezza dei soccorsi e della prevenzione. New York non è New Orleans, per approccio alla vita, per situazione sociale, per struttura geografica e per rete urbanistica e architettonica. Irene, poi, non era Katrina per potenza e per capacità distruttiva.
Era, però, un simbolo: raramente gli uragani o le tempeste tropicali mettono a rischio Manhattan: questo sì. Obama non poteva fallire, senza andare incontro a un disastro politico potenzialmente devastante in chiave elettorale per il 2012. S’è salvata New York, s’è salvato anche lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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