di Lodovico Festa
Senza dubbio il governo Monti nasce anche da un movimento della finanza milanese che via Corriere della Sera e direttamente (alcune fatali defezioni dallo schieramento di centrodestra nell'autunno del 2010, da Giuseppina Destro a Fabio Gava a Roberto Antonione, paiono ispirate da questo mondo) ha spinto verso una guida tecnica per lItalia. Pur comprendendo le preoccupazioni per l'economia nazionale, pur condividendo le esigenze di tregua di una politica troppo litigiosa (anche se la causa principale di certe derive rissaiole è una magistratura combattente che non paga mai il prezzo dei disastri combinati) pur considerando alcuni rimedi legislativi assunti di questi tempi efficaci, va constatato come la finanza milanese esprima la massima egemonia in una fase in cui è assai malmessa.
Così Unicredit che certo sconta i peccati di quel genio di Alessandro Profumo (almeno scomparso dalle scene politiche) ma che ha affrontato un aumento di capitale gigantesco con uno stile da brivido. Così Mediobanca che alla fine forse risolverà la crisi dei Ligresti ma che non è stata in grado di reagire quando nel marzo 2010 la Consob bocciò l'iniziativa di Groupama perché considerò lacquisto del 17% di Premafin un sostanziale controllo del gruppo. Allora Piazzetta Cuccia stette a guardare (non è credibile ma è ugualmente inquietante la spiegazione fornita da Massimo Mucchetti che ci si sarebbe voluti così vendicare dello sgarbo di Ligresti a Maranghi nei primi anni del 2000) e l'essere intervenuti a un anno di distanza ha provocato più di un guasto. Anche il protagonista centrale del nostro mondo bancario, Giovanni Bazoli, non sta tanto bene non solo per i danni che il suo ex ad Corrado Passera ha provocato al grande amico e socio Romain Zaleski con certe mosse su Edison, ma anche perché il suo principale mondo di riferimento (le fondazioni) ha dimostrato tutti i suoi limiti nella governance di Unicredit e soprattutto in quella del Monte Paschi, il cui presidente (Giuseppe Mussari) Bazoli aveva scelto come presidente dellAbi.
Senza dubbio si pagano scelte sbagliate dellEba come la esorbitante richiesta di maxicapitalizzazione dei nostri istituti di credito e le svalutazioni che l'authority comunitaria sulle banche ha imposto per i titoli di stato accumulati. Ma gli errori dei tecnocrati europei svelano difetti gravi di un sistema pur favorito dal nostro eccezionale risparmio privato: la pigrizia negli investimenti (il provincialismo che Romano Prodi vantava sciaguratamente qualche anno fa), lincapacità di lobbying se non via grandi quotidiani sulle beghe della politica italiana, la scarsa propensione al vero mestiere di banchiere che è investire sullo sviluppo (non solo il magistrale Enrico Cuccia, ma anche lImi e pure il Mediocredito della Cariplo svolgevano efficacemente questo ruolo) e non prevalentemente sulla rendita.
Esercitare in modo più o meno improprio un'egemonia sulla politica nazionale in una fase in cui si è in particolare difficoltà può far nascere nella finanza milanese la tentazione di utilizzare non trasparentemente linfluenza conquistata per tamponare solo proprie falle invece che per far ripartire leconomia nazionale.
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