Il maggiore Marco Martinoni, morto nel 1981, era il più brillante ufficiale ticinese e comandava le truppe svizzere del Mendrisiotto a fine aprile 1945; a inizio maggio non le comandava più: la sua brillante carriera era sostanzialmente finita - restò nell'esercito ma solo con compiti amministrati - per aver lasciato, seppur brevemente, Chiasso per Como. Non aveva però disertato: era partito per convincere il comandante delle truppe americane che occupavano la città italiana a garantire ai circa trecento militari tedeschi, incluse Waffen Ss - stazionanti a Ponte Chiasso in assetto da combattimento, anche se reclamando l'internamento - che dagli americani non sarebbero stati consegnati ai sovietici (i quali non facevano prigionieri le Waffen Ss: li uccidevano).
Grazie a Martinoni si evitò un'insolita battaglia: quella per arrendersi ai neutrali, non ai nemici, come avevano in effetti ottenuto le truppe francesi nel 1940 e quelle italiane nel 1943. Secondo la logica «umanitaria» di oggi, Martinoni sarebbe un eroe. Ma allora il generale Guisan, comandante in capo delle forze armate svizzere, disapprovò l'iniziativa di Martinoni, in effetti da diplomatico più che da militare. Per giunta le truppe del Mendrisiotto, temendo di cominciare a combattere quando la guerra finiva, dettero segni d'insubordinazione. Furono quindi sostituite da truppe di Sciaffusa: e in Ticino tornò il ricordo d'essere stato baliaggio del Cantone di Uri...
Questo episodio la Società svizzera e il Consolato svizzero evocano domani al Centro svizzero (via Palestro 2, ore 18,30) a 63 anni dalla fine (2 maggio 1945) della guerra in Italia.
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