Ancora oggi ci si divide sulla reale portata del punk inglese: per alcuni fu solo «un pittoresco fenomeno di costume»; per altri rappresentò invece «un'autentica rivoluzione». Al di là di tutto, la breve stagione del punk - quella originale, con il suo carico di rabbia genuina, energia e sfrontatezza a tutto volume - ebbe il merito di scuotere i basamenti del rock dei dinosauri e delle megaproduzioni pop che stavano strozzando le classifiche dell'epoca. Del punk made in England del 1977 la storia ci ha lasciato in eredità tre album simbolo: «Never Mind The Bullocks» dei Sex Pistols «The Clash» dei Clash e «Damned Damned» dei Damned. Nello stesso anno, i londinesi Stranglers - Hugh Cornwell (voce e chitarra), Jean-Jacques Burnell (basso), Dave Greenfield (tastiere) e Jet Black (batteria) - registrarono non uno, bensì due album: «IV Rattus Norvegicus» e «No More Heroes». I dischi seguivano i dettami del punk rock della prima ora, con non poche stravaganze gotiche e tenebrose. Ben presto con l'avvento della new wave, gli Stranglers abbandonarono l'introversione acuta e i testi cupi e oltraggiosi degli esordi in favore di sonorità meno buie e più melodiche, che avrebbero contrassegnato tutta la loro carriera futura. Una carriera segnata da inevitabili alti e bassi, flirt temporanei con l'elettronica e altrettante temporanee svolte commerciali e da diversi cambi di formazione.
Trent'anni dopo, i superstiti Burnell, Greenfield e Black sono ancora in tour (con loro c'è ora il chitarrista Baz Warne) sulla scia del sedicesimo lavoro, «Suite XVI», in bilico tra autorevival e timidi segnali di «discontinuità».Stasera (ore 21, ingresso 18 euro) al Transilvania Live, via Paravia 59.
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