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La strategia di Bossi: passare subito all’incasso

L’opportunismo politico della Lega: il Senatùr sa che soltanto dicendo qualche volta di "no" potrà ottenere di più. Ma non staccherà la spina al governo, ora che il federalismo è più vicino: "Il Cav ci ha dato i voti, a noi interessa quello"

La strategia di Bossi: passare subito all’incasso

Roma L’immagine plastica della strategia del Carroccio sta tutta lì: in quel duplice bacio schioccato dall’Umberto sulle guance di Letizia. Al Castello sforzesco, nell’ultimo comizio prima della grande partita elettorale di Milano, sotto i flash dei fotografi c’è stata la rassicurazione di Bossi: siamo e rimaniamo nel centrodestra. L’abbraccio del Carroccio alla Moratti è una garanzia a livello locale e nazionale: la Lega non stacca la spina. E non lo fa non perché sia amore incondizionato col partito del Cavaliere. Non lo fa perché non conviene: ossia per ragioni tutte politiche, che alla fine sono quelle che contano. Bossi sa bene che i voti li ha ancora Berlusconi, tutt’altro che morto, nonostante l’ultima aggressione mediatico-giudiziaria. Lo ha detto lo stesso Senatùr ieri, sebbene le recenti ruggini con l’alleato pidiellino abbiano fatto sognare gli anti-Cav: «Vinciamo al primo colpo e la Lega prenderà tanto - ha detto il capo leghista fuori dal seggio elettorale, accompagnato dal figlio Renzo -. Milano è sempre stata di centrodestra, speriamo che lo resti». E ancora: «Berlusconi ci ha dato i voti per il federalismo. Ci interessa quello, che ci dia i voti per fare le prossime riforme».

Quello è ciò che conta, in un’analisi pragmatica, realista e anche, perché no, opportunista. Seppur tirato per la giacchetta dalle opposizioni Bossi non molla l’alleato finché gli è utile e vantaggioso. Ad oggi soltanto questo governo garantisce al Carroccio la riforma delle riforme. Il federalismo è a portata di mano e i decreti attuativi possono vedere la luce solo se questa maggioranza regge fino alla fine. Questo interessa a Bossi, non altro. Le recenti fibrillazioni sono state funzionali a un discorso tutto politico. È soltanto dicendo qualche volta di «no» che si ottiene di più. Minacciando di staccare la spina la Lega può pretendere ciò che più le sta a cuore. E così è stato negli ultimi mesi quando Bossi è apparso inquieto rispetto all’alleato di ferro. Sa che lamentando e puntando i piedi può incassare di più. La Lega, in cambio della fedeltà indispensabile, chiede i ministeri al nord; un freno agli appetiti dei Responsabili che vorrebbero che le poche risorse disponibili prendessero la via del Meridione; la blindatura di Tremonti, come al solito pressato affinché apra i cordoni della borsa garantendo quindi soldi e consensi; il vicesindaco di Milano e qualche poltrona nel prossimo ritocco alla squadra di governo; un occhio di riguardo al Nord sui temi caldi dell’immigrazione e delle quote latte; voci in capitolo sulle municipalizzate e partecipate.

Tutto questo nonostante i malumori di parte del partito nei confronti del Pdl e di una fetta della base del Carroccio. Gli screzi ci sono e ci sono stati su molte questioni a livello locale e nazionale. A Bossi non è andata giù l’accelerazione sulla missione in Libia perché il rischio di un’invasione di immigrati potrebbe macchiare una delle bandiere più efficaci della Lega. Personalmente, poi, Umberto ha patito il colpo di non esser stato coinvolto da Berlusconi in occasione del summit con il presidente francese Sarkozy durante il quale è stato dato il via libera ai bombardamenti italiani. La base del Carroccio, inoltre, manifesta irritazione per il fatto che l’agenda politica veda al primo posto la giustizia piuttosto che il decentramento effettivo, il freno alla spesa pubblica e la riforma che semplifica il fisco.

Per ottenere tutto ciò la Lega gioca legittimamente la sua partita. Che è fatta anche e soprattutto di smarcamenti e di distinguo tattici. I toni, per esempio: Bossi s’è furbescamente presentato come la forza più moderata e istituzionale di tutte. Non è mai andato allo scontro frontale con gli avversari e ha tenuto aperto un canale privilegiato con il Colle.

Non perché si sia innamorato dell’ex comunista Napolitano ma perché consapevole che l’eccessiva irritazione del Quirinale può essere controproducente nel proseguo della legislatura.

Ma quanto potrà alzare la voce il Senatùr si saprà solo ad urne chiude. Più saranno i voti messi in cassaforte dal Carroccio, più alti saranno i decibel partiti dai padani.

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