Su una porta la firma dell’assassino di Chiara

A casa Poggi sequestrato il pannello "a soffietto" sulla scala della cantina. Chi ha colpito la ragazza deve avervi lasciato le impronte. Emozione per i familiari che hanno accompagnato i carabinieri, rientrando nella villetta per la prima volta da 50 giorni. Non manca nulla: il killer aveva con sé l’arma

Su una porta la firma dell’assassino di Chiara

Garlasco (Pavia) - E adesso tutta l’attenzione degli investigatori si sposta su una porta a soffietto della villetta dove fu uccisa Chiara Poggi. Porta smontata e portata nei laboratori del Ris, in cerca di impronte. In base al racconto dell’indagato Alberto Stasi dovrebbero esserci le sue ma anche quelle dell’assassino. Il sequestro è stato fatto durante il sopralluogo a cui hanno partecipato anche i famigliari della vittima che finalmente hanno potuto accertare come da casa non manchino oggetti compatibili con l’aggressione.

Il sequestro parte dunque dalle dichiarazioni che Alberto Stasi, 24 anni, ha reso il 13 agosto subito dopo il ritrovamento del corpo della fidanzata Chiara, 26 anni. «Ho cercato Chiara per tutta la casa e quando ho visto la porta a soffietto della cantina chiusa l’ho aperta appoggiandoci le mani sopra. Sui gradini ho visto il corpo di Chiara». Da queste dichiarazioni si può dunque dedurre che l’assassino, chiunque esso sia, ha chiuso la porta dopo aver rincorso la ragazza fin sulle scale oppure dopo averne gettato il corpo. Quindi ha lasciato sicuramente le sue impronte digitali. Ma oltre a quelle del killer dovrebbero esserci anche quelle di Alberto, in aree «compatibili» con l’azione poi descritta: «Ho afferrato la maniglia con la destra e tirato da destra verso sinistra, facendo forza al centro con la sinistra».
Ma il nuovo sopralluogo è servito anche agli investigatori per mettere alcuni punti fermi, come quello che l’assassino si è portato l’arma con cui ammazzare la giovane.

Alle 10.30 infatti sono entrati gli investigatori di Pavia, i carabinieri del Ris di Parma, guidati dal comandante Luciano Garofano, gli avvocati e i periti della difesa e della parte lesa. Con loro anche Giuseppe e Rita Poggi con il figlio Marco: per la prima volta da 50 giorni, con grande emozione, sono tornati in casa loro, sul luogo dove è stata uccisa Chiara. La loro presenza era necessaria per verificare se da casa mancasse qualche oggetto che l’assassino possa aver usato come arma e poi portato via. Invece dalla casa non manca nulla. Dunque aveva già con se l’arma del delitto. Questo dà una diversa qualificazione all’omicidio contestato ad Alberto: da volontario a premeditato. Ma soprattutto conferma che non si è trattato di un raptus.

L’assassino per la procura rimane dunque Alberto Stasi, che per spostarsi da casa sua, in via Carducci, a quella della vittima, in via Pascoli, avrebbe usato la sua bicicletta. Impiegata, ovviamente, anche per il ritorno, ma questa volta con le scarpe intrise del sangue della vittima. In questo modo avrebbe lasciato tracce inequivocabili sui pedali. Ed effettivamente materiale umano è stato trovato dagli esperti del Ris. La prima volta del «fluido umano» forse sangue, ma non è certo né sarà mai possibile accertarlo, da cui è stato ricavato il Dna di Chiara. Poi, smontando il pedale, delle microtracce ematiche, forse troppo piccole per poter ricavare il profilo biologico. I carabinieri ci stanno infatti lavorando da una decina di giorni senza esiti.

Infine, il primo ottobre, le ultime macchie, ben distinte e sulle quali gli investigatori sono molto ottimisti. Anche fossero di Chiara però non sarà possibile datarle. E forse non basteranno per condannare il ragazzo.

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