Paolo Giovanelli
da Milano
AllItalia servono due o tre rigassificatori per non correre i rischi di questanno, tutti gli altri in progetto hanno senso solo se il nostro Paese ha seriamente intenzione di diventare uno hub (uno snodo) per la distribuzione del gas nel Sud Europa. Matteo Neri, senior manager di Accenture, la società che ha organizzato ieri a Milano il workshop sulle utilities, è convinto però che i tempi siano stretti: «Anche gli altri Paesi europei lungo il Mediterraneo stanno pensando a costruirne - ha detto al Giornale - il fattore tempo è strategico: o lItalia li fa in fretta, o saranno inutili». In altri termini, i tubi che oggi portano il gas in Italia, domani lo potranno portare in Europa, rovesciando il flusso e dando al nostro Paese un ruolo di «ponte» tra Nord e Sud. Sempre che si facciano in fretta gli impianti per accogliere le navi, ma oggi ce nè uno solo in costruzione.
Interessante anche il discorso sulle prospettive: le energie rinnovabili sono il futuro prossimo, sostiene Neri, ma non dispongono ancora di tecnologie sufficientemente mature. Quindi, ipotizza, lItalia dovrebbe decidere una politica di tre gradini: subito il gas, poi le rinnovabili e infine, a medio termine (20-30 anni), nuove fonti che dovranno nascere da ingenti investimenti nella ricerca. Ma ci vorrà una politica nazionale dellenergia che guardi lontano.
Una richiesta di un progetto stabile è venuta anche da Tomaso Tommasi di Vignano, presidente di Hera, che ha avvertito: «Oggi abbiamo avuto la crisi del gas, domani (tempo due anni) potremmo trovarci a far fronte a difficoltà sul fronte dellacqua e dei rifiuti. Ci vuole una normativa coerente e che dia certezza agli operatori. Oggi Hera per operare nel settore acqua in sette province romagnole ha dovuto concludere 14 contratti. Troppi, con troppo tempo perso.
E, a proposito di soldi, Mario Ciaccia, ad della controllata di Banca Intesa che si occupa di infrastrutture, ha detto che sono stati finanziati termovalorizzatori al Sud e lingresso di Dolomiti in Delmi.
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