Sud anti-federalista? Macché, hanno già uno statuto speciale

Sud anti-federalista? Macché, hanno già uno statuto speciale

Gianfranco Fini sostiene che il Pdl è diventato una fotocopia della Lega perché adotta il federalismo fiscale. Esso, poi, sarebbe incompatibile con gli interessi del Mezzogiorno e rappresenterebbe, adesso, un pericolo per la nostra finanza pubblica. A me pare che Fini, al riguardo, sbagli di grosso. Una finanza pubblica conforme all’economia di mercato ha bisogno di una struttura federalista, per la sua piena realizzazione. Lo si legge nei testi teorici e lo si vede negli stati federalisti: dagli Usa, alla Svizzera, alla Germania. Dato che il Pdl professa tesi economiche di economia di mercato, è logico che sostenga il federalismo fiscale. Fra la sua ideologia e il suo programma, in questa importantissima materia e quella della Lega, c’è una naturale coincidenza.
Se vi è questa alleanza non è per un caso, o per una cattura di Berlusconi da parte di Bossi (ipotesi ben poco verosimile) ma per una solida ragione. E i tre Stati citati mostrano che federalismo e senso dell’unità nazionale non sono affatto in contrasto. Ovviamente ci sono modi diversi di cuocere le uova e modi diversi di configurare e attuare il federalismo fiscale. E qui è naturale che ci siano differenze, ma i principi guida sono comuni. Ossia in termini semplici e anzi banali, come sono molte vere leggi economiche, se le imposte sono il prezzo dei servizi pubblici e non una taglia o un dovere stabilito dal dirigismo statale è logico che si debba cercare il maggior collegamento possibile fra imposte e servizi pubblici. E se la scuola o la sanità sono servizi regionali e locali, pagati con imposte di origine e possibilmente di gestione regionale e locale, c’è più collegamento fra imposte e tali servizi che se le imposte per pagarli vanno in un grande pentolone statale e il mestolo con cui si tirano fuori le spese per le varie regioni ed enti locali è nelle mani dello Stato. Col federalismo il contribuente paga i suoi tributi più volentieri (o meglio meno malvolentieri) e c’è anche maggior incentivo a controllare le spese e le evasioni fiscali che nell’altro caso. In Italia, poi, siamo a mezza strada, con un sistema che non è né carne né pesce.
La sanità è quasi tutta regionale e si paga in gran parte con l’Irap, imposta regionale. Molte spese, nell’istruzione, sono per una parte statali (quasi tutto il personale insegnante) e per l’altra regionali e locali (edifici e loro gestione, scuola professionali, asili nido, aiuto agli studenti, eccetera) con dispersione e confusione di competenze. Un tema che sta affrontando il ministro Calderoli è «chi si deve occupare di che cosa»: lo Stato, la Regione, il Comune, la Asl, eccetera? Il federalismo serve anche a semplificare questo guazzabuglio dirigista. Un altro tema, su cui sta discutendo la Conferenza Stato-Regioni è l’attuazione del federalismo del demanio: cioè il passaggio di beni demaniali statali alle Regioni ed enti locali. Il demanio dello Stato è molto male utilizzato, perché l’autorità centrale non ha gli occhi dappertutto. Il federalismo serve per valorizzarlo, perché le cose di tutti non siano maltrattate come cose di nessuno. Questi esempi mostrano che non è vero che attuare il federalismo adesso vuol dire essere imprudenti. E poiché non si può tacciare Tremonti di imprudenza, mi pare che non ci sia pericolo di bruciare la frittata o di rompere più uova di quelle necessarie.
Quanto al Sud, sono stupito a sentire che esso sarebbe intrinsecamente anti federalista. Non mi riferisco solo alla Sicilia e alla Sardegna, federaliste per statuto e che si potranno giovare della sistemazione organica dei rapporti fra Stato e regioni. Da Napoleone Colajanni, a Gaetano Salvemini, a Luigi Sturzo, tre icone del meridionalismo. La tradizione meridionalista è in larga parte federalista.

In concreto, la questione sta nelle mani della conferenza Stato-Regioni, in cui la grande maggioranza di quelle meridionali è adesso capeggiata da governatori del Pdl. Sicché essi nei decreti attuativi cercheranno di fare il modo che il fondo perequativo a favore delle regioni del sud sia adeguato. Ciò senza alcun bisogno di una nuova corrente.

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