Sul referendum Casini zittisce Eugenio Scalfari

Paolo Armaroli

Violante è stato un eccellente presidente della Camera. Oddio, nessuno è perfetto. Pure il predetto aveva i suoi bravi nei. Il più vistoso? Quello di avere talora interpretato il regolamento di Montecitorio ad usum delphini. E il delfino, si capisce, era lui in persona. Ma, a nostro sommesso avviso, lo ha fatto sempre in perfetta buonafede. Sul serio si considerava fonte del diritto. Cose da pazzi. Pensavamo che dopo questo ingombrante mostro sacro, chiunque si fosse seduto al suo posto se la sarebbe vista brutta. E invece Casini se la sta cavando egregiamente. Nonostante che, assorbito com'era dalla guida del suo partito, non si fosse particolarmente distinto nell'attività parlamentare. È proprio vero, come dicono gli inglesi, che il budino va assaggiato per sapere com'è.
Casini ha esordito con la promessa che non si sarebbe fatto ingessare dalla carica. E, diavolo di un uomo, è stato di parola. Lo si è capito fin dal suo messaggio d'insediamento. Quando si è appellato alla madonna di San Luca, non già per ostentare la propria fede religiosa ma per rimarcare le sue radici bolognesi. O quando ha fatto con una certa emozione un cenno di saluto ai familiari in tribuna. Insomma, non è un monumento. E nemmeno, se è per questo, un secchione. Sulle procedure parlamentari avrà anche preso qualche abbaglio. Ma ha sempre condotto i lavori di un'assemblea a volte tumultuosa come quella di Montecitorio con misura, sano buonsenso e un pizzico di astuta ironia.
Applaudita dall'opposizione, è vero, qualche sua decisione è dispiaciuta alla maggioranza. Ma la cosa si spiega. Questa può contare sul diritto della forza, mentre quella può solo confidare nella forza di un diritto del quale il presidente è l'interprete. Del resto la Iotti e Fanfani, per lungo tempo rispettivamente presidenti della Camera e del Senato, si sono sovente comportati allo stesso modo. Ossi duri, sicuro. Ma consapevoli che un presidente deve essere non solo imparziale ma anche apparire tale.
Dopo aver letto una reprimenda di Scalfari per non aver votato nella consultazione referendaria sulla procreazione assistita, Casini è sobbalzato sulla sedia. E qui va aperta una parentesi. Il fondatore de La Repubblica, benedett'uomo, non ha mai dato ascolto ai suoi colleghi. Per Mattei ci sono articoli da leggere in piedi e altri così prolissi che vanno letti seduti. Per Missiroli un articolo non deve avere più di un'idea, e se non c'è è meglio. Per Montanelli un articolo, non più di una colonna e un piedino, si giustifica per la battuta finale. Invece Scalfari scrive concettosi articoli lunghi come lenzuoli. Perciò quella malalingua di Perna ha potuto scrivere che sono di una monotonia esasperante. Per forza. Prendono le mosse dal 33 avanti Cristo e si concludono immancabilmente con il ciceroniano «O tempora, o mores!».
Il numero uno di Montecitorio gli ha risposto per le rime. E i suoi argomenti sono così convincenti che Scalfari, di regola impermeabile alle ragioni altrui, si è tolto il cappello. Certo, il presidente non vota in assemblea per sottolineare la propria imparzialità. Ma non per questo può essere condannato al silenzio. Tanto più nel caso specifico. Perché «il referendum sulla procreazione assistita non è stato una prova tra maggioranza e opposizione». Del resto, l'ordinamento considera legittima l'astensione dal voto in quanto contempla un quorum di validità. Avvalendosi per l'appunto di tale facoltà, lui non ha fatto altro che rivendicare il proprio ruolo di speaker. Ossia «voce» di una Camera che ha trasversalmente approvato quella legge. E a Montecitorio, come a Palazzo Madama, facendo fallire i referendum il popolo sovrano ha ridato lo scettro. Considerazioni impeccabili, quelle di Casini. Non fanno neppure una grinza.


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