Cultura e Spettacoli

«Sulla Resistenza diciamola giusta»

«La guerra si fa in due: uno la vince e uno la perde. Ma ai vinti non possiamo negare il diritto di raccontare la propria verità»

Di critiche, anche feroci, ne ha ricevute a bizzeffe. Tanto che per rintuzzarle a Giampaolo Pansa ci sono volute 480 pagine. Un librone, l’ultimo arrivato della trilogia iniziata con Il sangue dei vinti e proseguita con Sconosciuto 1945, che è come dire due grossi successi editoriali. Mezzo milione di copie solo per il primo, una bufera di polemiche e, tra il chiasso delle vestali offese, improvvisamente le altre voci, tante voci: quelle dei figli delle vittime fasciste (o semplicemente non comuniste), i rejetti che per decenni avevano taciuto vivendo il proprio dramma quasi come una vergogna e che adesso raccontavano. E così è nato Sconosciuto 1945.
Le quattrocentottanta nuove pagine arrivano in libreria il 3 ottobre (La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, 18 euro) e uno si domanda: ci voleva un libro per rispondere alle furie di Giorgio Bocca, ai veleni di Sergio Luzzatto, ai rigurgiti di Aldo Aniasi (parce sepulto), alle stizzite puntualizzazioni dei professorini arroccati nelle accademie, ai nostalgismi dell’Anpi, insomma a tutto quel ragguardevole e ammuffito clan che da sessant’anni campa spolpando la già rinsecchita mummia della Resistenza? O non bastava il dantesco «non ti curar di lor», tanto più che il mondo velocemente cambia (non in meglio, per carità) e la cronaca orribile della nostra guerra civile diventa storia? Storia, si badi bene, degli italiani. Tutti.
Ed è qui che Pansa ti risponde perché l’ha scritto. «Non l’ho fatto per rispondere agli attacchi, chissenefrega, l’ho fatto per smontare la Grande Bugia». E spiega: «Non è che la Resistenza, che oltretutto è la mia patria morale, sia morta. No, la Resistenza è viva e viene tirata in ballo ogni momento. Non c’è corteo in Italia in cui non si canti “Bella ciao”. Ma se è viva, allora raccontiamola giusta. Anche a costo di procurarci e procurare qualche mal di stomaco. Primo: la Resistenza l’ha fatta per il novanta per cento il Pci. Senza il Pci la Resistenza non sarebbe esistita. Essa è una parte importante dell’esistenza del partitone rosso da cui derivano tutti i partitini attuali. E allora i comunisti comincino ad ammettere che la guerra partigiana è stata solo la prima fase di un progetto che prevedeva l’avvento sanguinoso della “rivoluzione proletaria” sotto l’ombrello dell’Armata rossa, anche se i patti di Yalta ci avevano fatto cadere dall’altra parte».
E questo spiega anche le feroci esecuzioni post-25 aprile, le eliminazioni dei cittadini «nemici del popolo» e degli stessi partigiani non comunisti. «Esatto - dice Pansa - ed ecco il secondo elemento della Bugia: c’è stato il leggendario consenso di popolo alla Resistenza? No, non c’è stato. È una fola nata dal noto libro di Luigi Longo, Un popolo alla macchia (Mondadori 1947). Macché popolo, al nord la guerra civile è stata combattuta da due minoranze - l’esercito di Salò e le formazioni partigiane - in mezzo a una popolazione impaurita che aspettava solo che il temporale passasse. Io la «zona grigia» di cui ha parlato De Felice l’ho vissuta a Casale Monferrato: era quella delle campagne dove, per esempio, i contadini non ne potevano più né dei tedeschi, né dei fascisti, né dei partigiani che erano dei gran razziatori».
E siamo a quota due. Qual è il terzo pezzo della Bugia da mandare in frantumi? «Le cifre. Trecentomila partigiani in armi? Ma siamo matti. L’entità delle formazioni partigiane è un’altra delle panzane che siamo andati raccontando in questi anni. Il quarto elemento è l’insurrezione al nord. Non c’è stata nessuna insurrezione. C’è stato solo l’arrivo degli Alleati, rapidissimo dopo lo sfondamento della Linea gotica e il cedimento dell’esercito tedesco, allo stremo delle forze e con il morale a pezzi. Dopo, è solo cominciata una mattanza».
A pezzi, a questo punto, è anche la Bugia. «Non ancora. E questo è il nocciolo del mio libro. I personaggi che sbertuccio sono i sacerdoti della Bugia. Quelli che non vogliono che finalmente si ammetta che le guerre mettono in luce, talvolta l’eroismo, più spesso la ferocia di chi le combatte. Quale che sia lo schieramento. Quelli che non vogliono accettare l’elementare verità che la guerra si combatte in due: uno la vince e uno la perde. Ma poi si pretende che la storia la scrivano solo i vincitori. E ai vinti si nega il diritto di parlare».
Ma questo è «revisionismo». «Io non sono revisionista, sono pansista. E non accetto la logica del “taci, tu che sei fascista”. Che è poi la logica del sasso in bocca.

Quella lasciamola alla mafia».

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