Sulla tv la sinistra replica sempre la stessa telenovela

Mamma mia, quanto sono tristi gli intellettuali di sinistra quando si ritrovano insieme. Almeno a destra, non essendoci intellettuali, nessuno si ritrova da nessuna parte, al massimo in qualche circolo cattolico di provincia. Invece la nuova topica utopica degli apocalittici e integrati è che «la politica ha cancellato le parole», ovviamente per colpa della televisione. Ci sono, per esempio, il professor Giulio Ferroni e il professor Gian Luigi Beccaria nell’ambito di un convegno che si chiama «Biennale Democrazia», già il nome è da brivido, il titolo da paura: «La neolingua e le parole della politica nell’era del Grande Fratello», un horror. Dove si arriva a rimpiangere non il Dolce Stil Novo ma le dolci espressioni della Prima Repubblica, quando si diceva «convergenze parallele» e si tentavano «caute sperimentazioni», mentre oggi ci si manda a quel paese senza vie di mezzo né numeri civici, uno scandalo. Colpa soprattutto della destra e di Berlusconi, e dunque al posto dell’oratoria si usa «uno slang insensato da Grande Fratello», ed è vero, uno sente Ignazio La Russa e sembra Aldo Busi, quindi forse La Russa non parla così male.
Negli anni Settanta ci si lamentava lo stesso, nonostante ci fossero le Tribune Politiche, i Programmi dell’Accesso, e gli approfondimenti li conducesse Enzo Biagi, futuro eroe della sinistra di destra. Nel 1973 non c’era ancora Mediaset, c’era solo la Rai, non c’erano le veline di Ricci, c’erano le Kessler e la Carrà, ma Pier Paolo Pasolini si scagliava contro la televisione «autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo» nella quale vedeva, tanto per cambiare, l’emblema del fascismo, perché all’epoca il tasso dell’intellettualità era proporzionale al numero di volte in cui si citava il fascismo, come oggi il berlusconismo. «Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre». Quindi figuriamoci se alla «Biennale Democrazia» non hanno fatto ampio uso di Pasolini, perché, si sa, in Italia basta citare Pasolini per dire una cosa profonda, sociale e intellettuale. Provate: «Come diceva Pasolini...» e buttate lì qualsiasi stupidata vi venga in mente, è scientifico, funziona sempre. In televisione poi viene benissimo, specie a Saviano, il nuovo Pasolini. Se vi obiettano qualcosa rispondete che è la macchina del fango.
Comunque mica c’è solo Pasolini contro la televisione, volendo non si finisce più. Solo per nominare i più famosi, secondo Hans Magnus Enzensberger la televisione non bruttava l’anima ma trasmetteva il nulla, e perfino per il liberale Karl Popper era una cattiva maestra e trasmetteva cose cattive. Senza dimenticare l’indimenticabile classico di Marshall McLuhan, il medium è il messaggio, e quindi qualsiasi cosa si trasmetta è uguale, la televisione trasmette se stessa: allora non si capisce perché non mandino porno al posto dei telegiornali, non dovrebbe accorgersi nessuno della differenza e tanto è tutto un parlare di bunga-bunga senza vedere mai un cazzo, scusate il termine imbarbarito ma io sono moderno.
Tuttavia talvolta la noia pretesca delle prediche provoca sorprendenti effetti preterintenzionali: in Caro diario ci si identifica più con il filosofo in fuga dall’isola perché non ci sono televisori (al grido di «Hans Magnus Enzensberger mi fai pena! Karl Popper hai torto marcio!») che con quella suocera inacidita di Moretti, uno con cui non vorrei mai restare chiuso in ascensore, mi viene la claustrofobia solo a pensare di incontrarlo a Villa Ada. Peggio c’è solo Giorgio Bocca, uno che ogni sera si mette davanti alla televisione «provando un senso di schifo», e però continua a mettercisi davanti, altrimenti come fa a lamentarsi, tranne quando lo invitano alle Invasioni barbariche, quando sono io a cambiare il canale schifato.
Certo, il linguaggio è decaduto, è tutto molto volgare, Gad Lerner e Repubblica vogliono vestire le veline e il mio personale problema sessuale con la televisione è trovare desiderabile ogni donna che orbita intorno a Berlusconi, e ultimamente mi sto innamorando della Minetti, un disastro. L’unica salvezza resta il Corriere della Sera, un giornale perbene sul quale, siccome le parole sono importanti e chi parla male pensa male, per fortuna si riporta l’analisi del professor Beccaria, autore del fondamentale saggio Il mare in un imbuto. Dove va la lingua italiana.

Anche senza leggerlo basti pensare a «quante volte esponenti di destra hanno usato criticamente l’espressione “mettere le tasche nelle mani degli italiani” come se il fisco equivalesse a un borseggio». Verissimo, e se ne deduce che o la destra è pure dislessica o la sinistra non capisce un imbuto.

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