Il suo vizio di spiazzarti, raccontandoti il mondo

Il suo vizio di spiazzarti, raccontandoti il mondo

Hai contato i passi, come in un duello, con te stesso. Taormina è una meraviglia, proprio come la raccontavi quando parlavi di casa. Via Roma è lunga e sabato mattina ci passeggiano i nonni, i perdigiorno, qualche coppia innamorata e da lontano si sentono i bambini che strillano, qualcuno troppo maleducato. Questa volta ti sarai lasciato scivolare addosso il fastidio. Non ti toccano le grida, non ti tocca nulla. Non adesso. Allora fai tutto come se fosse una cosa normale, senza parole, perché il finale è un colpo solo, all'improvviso, che ti lascia senza fiato, sospeso. Prendi il giornale, lo posi sul muretto, metti la mano in tasca, senti il peso della pistola, sollevi la mano, la porti alla tempia e spari. È finita così, con lo sguardo sorpreso e sbarrato dei passanti. Il resto è silenzio e un biglietto ancora da decifrare.

Sergio Claudio Perroni è morto e non bastano due colonne in cronaca per raccontarlo. Serve la sua voce, che ti batte nel cervello e ti rimbrotta, ti schernisce, ti sposta le virgole e ti rassicura con il suo modo crudo di regalarti affetto. Adesso ci vorrebbe Pulce, la protagonista del suo ultimo romanzo: La bambina che somigliava alle cose scomparse (La nave di Teseo). Pulce che va in giro e risolve problemi e lo fa con l'antico stratagemma di porre domande. «Nei libri - dicevi - non muore mai nessuno: se un personaggio che ami muore, per resuscitarlo ti basta tornare indietro di un paio di pagine e sai che lo ritroverai vivo ogni volta che prenderai in mano quel libro e lo riaprirai, non importa quanti anni saranno passati. Vivo e identico, perché i personaggi non mettono mai rughe».

Neppure tu. Tu che scrivi cercando sentieri mai battuti, con una storia da raccontare, profonda come il più profondo dei mari. Sergio ti porta nel ventre degli achei, nascosto nella pancia del cavallo di Troia, raccontando quello che Omero aveva dimenticato di narrare. Ti fa viaggiare in compagnia di un alchimista di parole, e del suo vuoto a perdere. Ti lascia spiare la costruzione di un amore riflesso sui vetri di una finestra e con la voce di Steinbeck invita, da traduttore, a seguire il furore biblico, in quella terra dove gli sfiniti trovano pace. È da lì che vengono Nel ventre o Renuntio vobis, o Il principio della carezza.

È quel suo vizio di spiazzarti, con il suo modo geniale di guardare il mondo da un angolo che solo lui conosce. È quello che accade in Entro a volte nel tuo sonno: «Siamo roba che cade, gente a pioggia che viene giù da altezze diverse a seconda di quand'è partita, chi da solo e a capofitto, chi in due e tenendosi per mano».

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