Sviluppo, finita l’attesa: Romani è il nuovo ministro

RomnaE così, cinque mesi dopo, lo Sviluppo economico torna ad avere un ministro. Alle sette di sera, Paolo Romani sale infatti al Colle e giura davanti al capo dello Stato. Prende il posto di Claudio Scajola, dimessosi ad aprile travolto dal caso Anemome e dalla storia della casa della figlia, e troverà sul tavolo una mole di lavoro arretrato, tra cui 150 fascicoli di crisi aziendali aperte con mezzo milione di lavoratori coinvolti. Troverà anche il dossier sul nucleare: doveva partire entro l’anno, slitterà a chissà quando.
Al Quirinale una cerimonia semplice e veloce. Romani era stato il primo nome messo in pista da Silvio Berlusconi, ma il presidente aveva subito storto la bocca: un ex-editore, questa l’obiezione, non può occuparsi di comunicazioni senza sollevare dubbi di un conflitto d’interessi. Poi, per motivi diversi, si erano bruciati tanti altri candidati: da Emma Marcegaglia, che il Cavaliere aveva pubblicamente investito durante un’assemblea della Confindustria ottenendo un garbato no grazie, a un qualche personaggio vicino all’Udc o ad altri gruppi centristi, nel tentativo di allargare la maggioranza.
Ma oggi, passati cinque mesi e rimasta scoperta la casella, Giorgio Napolitano ha dato il via libera. «Si è preso atto - fanno sapere dal Colle - dei chiarimenti e delle rassicurazioni che sono stati forniti». Romani in questi giorni ha fatto dei passi formali con l’Antitrust, dimostrando che non sussiste più da tempo un pericolo di conflitto d’interessi. Da qui, oltre che dalla necessità di assicurare stabilità al governo, il disco verde presidenziale.
La pratica nella Sala della Pendola dura poco più di mezz’ora. Mentre aspetta l’arrivo di Napolitano, un Berlusconi allegro scherza con i giornalisti e i cameramen: «Con quei pesi sulle spalle vi verrà la scoliosi. Vi racconto una barzelletta per ingannare l’attesa?». «Alt», lo ferma subito Gianni Letta, sorridendo preoccupato. E il premier: «Sapete, quando uno non ha niente da fare nella vita...». Si ricompone appena entra il capo dello Stato che dà il via alla procedura. È tutto velocissimo, il tempo per il giuramento, la firma del decreto di nomina, le strette di mano, le foto di rito e una rapida bicchierata.
Tra Napolitano e Berlusconi solo poche frasi, qualche vago accenno alla situazione generale, ma nessun approfondimento, nessun faccia a faccia. Il tema della giustizia resta dunque a latere, tra le cose non dette e che forse in questo momento, dopo la richiesta del Cavaliere di una commissione d’indagine sulle toghe, è meglio lasciare da parte a decantare. D’altronde, spiegano al Quirinale, la posizione del capo dello Stato su giudici e politici - rispetto reciproco e distanza - è chiara e «ben nota». Non è quindi questa la sede per discuterne, semmai il presidente lo farà, se riterrà, nei luoghi appropriati. Alle 19,40 sono già tutti fuori: Berlusconi e Letta accompagnano Romani in auto fino al palazzo di via Veneto.
Il nuovo ministro è nato a Milano nel 1947, è sposato e ha tre figli. Interista, appassionato di storia, prima di occuparsi di politica Romani faceva il giornalista (è stato inviato di guerra in Romania, Iraq e nella ex Jugoslavia) e l’editore tv. Nel ’74 ha creato Tv libera, negli anni successivi è stato direttore generale di Rete A, poi amministratore delegato di Telelombardia e quindi di Lombardia 7, ceduta nel 1994 quando è entrato in Parlamento tra le fila di Forza Italia. Ha fatto parte delle commissioni Difesa, Finanze, Trasporti, Poste e tlc, riordino del settore radio-tv e della giunta delle elezioni.

Coordinatore lombardo di Fi fino al 2005, dal 2008 viceministro allo Sviluppo con delega alle telecomunicazioni. Ora dovrà occuparsi di Fiat, Merloni. Fincantieri, Sogin, Enea e Indesit e riaprire la pagina nucleare. Chi andrà al suo posto? Il nome più gettonato è quello di Anna Maria Bernini.

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