Svolta di Olmert sulla Palestina: parliamo di pace

Gian Micalessin

Che non fosse un semplice cessate il fuoco concordato in una frettolosa telefonata tra il premier israeliano e il presidente palestinese lo si era capito. Ora si sforza di farlo capire anche Ehud Olmert. Il premier lo fa con un discorso altamente simbolico, pronunciato a Sde Boker, sulla tomba di David Ben Gurion, il padre d’Israele, sepolto tra le sabbie del Negev. Il discorso, avviato dalla promessa di liberare molti prigionieri palestinesi in cambio di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito a giugno da Hamas, assume ben presto i toni di un’apertura negoziale, arrivando ad abbozzare l’idea di un cruciale giro di boa.
Nel discorso Olmert s’allontana per la prima volta dall’unilateralismo dell’era Bush e Sharon per delineare i contorni di un accordo di pace concordato con i palestinesi. A rafforzare la sensazione di uno «tsunami» diplomatico, avviato dalle scosse telluriche della politica statunitense, contribuisce la raffica di voci su un imminente vertice con il presidente palestinese Abu Mazen. L’incontro potrebbe far da cornice all’arrivo domani sera in Giordania del presidente americano George W. Bush o trasformarsi in un vertice a tre con il segretario di Stato Condoleeza Rice.
Tutti segnali insomma di una trattativa di spessore in nome della quale Israele sopporta, senza reagire, il lancio di altri due missili Kassam contro la cittadina di Sderot. Due missili delle Brigate Martiri di Al Aqsa lanciati, secondo la rivendicazione, in risposta all’uccisione di un militante e di un’anziana donna caduti durante un’incursione dell’esercito in Cisgiordania dove non è in vigore il cessate il fuoco. Hamas, a differenza delle frange fuori controllo di Fatah, sembra stavolta interessato a mantenere la tregua. E il negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat, risponde positivamente: se Olmert lo chiedesse, Abu Mazen sarebbe disponibile a negoziati che sblocchino definitivamente il conflitto israelo-palestinese. Meno duro del solito il premier fondamentalista Ismail Haniyeh. Dice di auspicare l’estensione della tregua alla Cisgiordania e chiede a Israele di mettere fine agli “omicidi” per «preservare il clima creatosi negli ultimi due giorni».
«Non appena Gilad Shalit verrà liberato e farà ritorno alla sua famiglia, il governo israeliano incomincerà a rilasciare molti prigionieri palestinesi, anche quelli condannati a lunghe pene detentive», promette Olmert all’inizio del suo discorso di Sde Boker. Subito dopo il tono si alza. Sulla tomba di Ben Gurion, tra le sabbie del Golan risuonano parole e progetti dimenticati. La prospettiva unilaterale, sostenuta da Ariel Sharon fino al ritiro da Gaza e fatta propria da Olmert fino a cinque mesi fa, sembra improvvisamente dissolversi. Per la prima volta, in piena sintonia con i sommovimenti politici in atto a Washington, riaffiora l’idea di un ritiro discusso e concordato con l’Autorità Palestinese.
«Tendo la mano in segno di pace ai miei vicini palestinesi nella speranza di non vedermela restituire vuota – dice Olmert -, non possiamo cambiare il passato e non possiamo riportare in vita le vittime cadute sui due lati del confine, ma possiamo evitare altre tragedie». Poi il nodo cruciale. Olmert parla di «crocevia storico», chiede ai palestinesi di rinunciare all’utopia di un ritorno dei profughi sui territori israeliani, propone il rilancio dei colloqui di pace. In cambio il premier promette il ritiro da larghe fette della Cisgiordania, lo smantellamento dei posti di blocco e lo sblocco dei fondi palestinesi congelati dopo la vittoria di Hamas. «Concorderemo l’abbandono di vasti territori e smantelleremo gli insediamenti, siamo pronti a farlo – promette Olmert - in cambio di una vera pace».


Dopo quel discorso i portavoce israeliani faticano a tener sotto controllo le voci che ipotizzano un summit tra Mazen e lo stesso Olmert ai margini della visita di Bush in Giordania prevista per giovedì e venerdì. L’incontro, fanno capire i portavoce, si farà. Ma la data non è ancora fissata. A rilanciare ci pensa la radio palestinese dando per certo un vertice a tre fra la Rice, Olmert e Mazen.

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