Politica

Tagli alle province, si parte subito In un anno può diventare realtà

Roma«Per abolire davvero le province ci vogliono tempo e forza politica da parte di tutti partiti, mi sembra che non ci siano né l’uno, né l’altro». Un parlamentare di lungo corso commenta così, con quella punta di cinismo tipica di chi ha visto scorrere tanta demagogia e tanti buoni propositi sotto i ponti, l’inserimento del grande colpo di scure sulle province nell’ultima versione della manovra. Il verdetto è apparentemente inoppugnabile. Spariranno tutte, non solo quelle sotto i 300mila abitanti. Un colpo di spugna che cancellerà 110 province. Almeno nelle intenzioni. Perché per tagliare il traguardo saranno necessari quattro passaggi parlamentari, che si possono fare in un anno. Si può fare: basta crederci, alla faccia dei cinici. Il senatore Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari Costituzionali, fa sapere che la prossima settimana verranno esaminati i disegni di legge. Si parte subito. Magari con l’aiuto delle opposizioni per avere la maggioranza «qualificata» ed evitare il referendum confermativo. Casini ha messo l’addio alle province nella contromanovra, Di Pietro anche. Bersani ha detto di essere pentito di aver votato no l’ultima volta che è stata proposta la soppressione. Insomma, basta essere coerenti e il risultato è lì, non troppo lontano. L’importante è che nessuno bari. E forse è proprio questo il pericolo.
La speranza, neppure troppo nascosta, di tanti rappresentanti locali è che il Parlamento si trasformi nella classica palude salvacasta e le pressioni dal basso finiscano per inceppare i lavori parlamentari, per indirizzarli verso altre materie o, qualora si arrivasse alle votazioni decisive, le divisioni politiche avessero la meglio e fermassero la mano del boia.
Il dibattito sulle province, d’altra parte, è come un fiume carsico che torna in superficie a cadenze regolari da quarant’anni a questa parte. Nel 1970, quando furono istituite le Regioni, Ugo La Malfa presentò un emendamento in cui si diceva che con quella legge le Province sarebbero state abolite. Si è fatto il contrario: sono state moltiplicate e dal 1992 ne sono state istituite altre quindici. Ora, però, in tempi di furia anticasta e di propositi corali e sbandierati da tutte le forze politiche, il tempo degli alibi è finito e le condizioni per tagliare le province attraverso una legge costituzionale che conferisca alle Regioni le relative competenze ordinamentali ci sarebbero tutte.
Riusciranno allora i parlamentari a essere coerenti con le loro promesse, apparentemente scolpite nel marmo, e ad avere uno scatto di orgoglio e di coerenza? A dare retta alle dichiarazioni pubbliche il cammino sembrerebbe in discesa. L’Udc si dice pronto al grande passo e si lamenta per quello che definisce un «furbesco rinvio». Il Pdl ha fortemente voluto questa misura. Antonio Di Pietro attende al varco il Pd e ricorda quando, poco prima dell’estate, il partito di Via del Nazareno bocciò la proposta Idv di abolire subito le province, facendo infuriare i propri militanti. «La coerenza politica è una questione morale» dice l’ex pm. «Su questo valuteremo la costruzione di una coalizione dell’alternativa». La Lega tace. La Banca d’Italia fa notare come un intervento sulle Province avrebbe «un valore simbolico molto importante», anche se all’inizio i risparmi non sarebbero troppo consistenti, con un valore «nell’ordine di centinaia di milioni» (anche se i tecnici governativi stimano a regime un risparmio di 1,9 miliardi di euro l’anno). La partita, insomma, è tutta da giocare. E il Parlamento sarà davvero arbitro di se stesso. Quattro passaggi d’aula separano le Camere dall’occasione storica di cancellare dalla Costituzione la parola «provincia».

Un sussulto di dignità che potrebbe salvare dall’estinzione la credibilità di un’intera classe politica.

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