Ci tiene a precisarlo. Il giudice Adriano Leo, che presiede il collegio della quarta sezione del Tar, ha appena consegnato alle parti il provvedimento con cui accoglie il ricorso del Pdl contro lesclusione dalle prossime Regionali deciso dalla Corte dappello. Il cosiddetto decreto «salva-liste», firmato venerdì dal presidente Napolitano? «La nostra decisione - spiega Leo - prescinde da quel decreto». Anzi, «ancora non ho nemmeno voluto leggerlo». Il centrodestra torna in corsa per le elezioni, dunque, e senza bisogno della «spintarella» arrivata da Roma.
Due sentenze di 15 pagine (una sul ricorso presentato per il listino «Per la Lombardia», laltro dal governatore Roberto Formigoni) con cui i giudici di via Corridoni ribadiscono quanto già sostenuto sabato nel provvedimento di sospensiva. Ossia, che i delegati della lista Bonino-Pannella - dalle cui denunce è partito lintero circo giudiziario - si sono mossi tardi e male. Tardi, perché hanno chiesto il riconteggio delle firme dopo 24 ore dalla comunicazione della Corte dappello (il cosiddetto «termine decadenziale»). Ma «la particolarità della materia elettorale - si legge infatti nella sentenza - non consente incertezze e prevede termini precisi per ladozione di provvedimenti di ammissione o di eliminazione di liste o candidati». E male, perché i Radicali si sarebbero dovuti rivolgere al Tar. La Corte dappello - accusata dal centrodestra di aver usato «due pesi e due misure» nelle operazioni di verfica delle sottoscrizioni, favorendo così il Pd di Filippo Penati - a quel punto non era più competente. «Lufficio centrale regionale - scrive infatti il giudice Leo, estensore della sentenza - non ha più alcun autonomo potere di procedere a un riesame di profili già fatti oggetto di verifica e non censurati dai soli soggetti legittimati (delegati di liste o candidati eliminati)». In realtà, per i magistrati della quarta sezione del Tar, lintero problema non si sarebbe dovuto nemmeno porre, perché un ricorso poteva essere presentato soltanto «contro le eliminazioni», e non per contestare la validità delle altre liste. Per quello, appunto, cè il tribunale amministrativo.
Adesso, che cosa accade? Che Radicali e centrosinistra potrebbero decidere di impugnare il provvedimento di ieri davanti al secondo grado della giustizia amministrativa. Penati, dopo aver detto di non essere intenzionato a prolungare la battaglia giudiziaria, nei giorni scorsi ha minacciato di rivolgersi al Consiglio di Stato nel caso in cui il governo non dovesse ritirare il decreto legge. «La sentenza del Tar - è il commento di Marilisa DAmico, docente di Diritto costituzionale alla Statale e legale della «Lista Penati» - è debole e non affronta né vuole affrontare il problema della regolarità o meno delle firme. Esiste molta giurisprudenza che consente a un ufficio di correggere eventuali errori quando si evidenziano».
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