Tasse e spesa pubblica Quando il «welfare» aiuta sempre i soliti furbi

Chi paga lo Stato sociale? Chi ne trae benefici e chi ci rimette. Illusioni e inganni dell’economia. Il problema cruciale è che i governi danno troppo a troppe persone e non a chi ne ha realmente bisogno

Nel Novecento, in molti Paesi europei, Italia in testa, si è venuto creando un circolo vizioso tra eccessi del fisco (tasse), spesa pubblica e alcune tendenze di tipo storico-politico che occorre conoscere perché sono determinanti nella forma che hanno assunto i nostri regimi democratici.
Alla radice delle troppe tasse c’è un’esagerazione nella spesa pubblica, cioè nella spesa a opera dello Stato. Questa spesa ha avuto un’accelerazione nel Novecento ma è almeno dal Cinquecento che tende a dilatarsi. La spesa pubblica, fatta con i soldi pubblici, quelli versati allo Stato dai cittadini amministrati dal medesimo, e divenuta, via via, un ottimo generatore di consenso politico. In una situazione dove c’è mano libera sulla spesa pubblica è naturale che ciò che non viene concesso dal governante di turno sarà poi concesso da quello successivo. Ma qui si annida la prima illusione, il primo imbroglio: i soldi che lo Stato dà sono gli stessi che lo Stato ha tolto. È patologica l’apparente, e solo apparente, gratuità dei vari servizi offerti. Li fornisce attraverso il welfare state o attraverso aiuti alle imprese. Li ha tolti a tutti, non solo ai più ricchi, attraverso un’imposizione fiscale che ormai arriva vicino alla metà della ricchezza prodotta dal Paese. Quando la tassazione raggiunge livelli alti, come nel caso dei Paesi europei, il prelievo deve essere per forza generalizzato, altrimenti troncherebbe letteralmente gruppi di cittadini appartenenti all’unica o alle poche fasce di reddito colpite. Il prelievo deve forzosamente riguardare i redditi alti, medi e bassi.
L’altra illusione che la spesa pubblica produce è quella che riguarda lo scarto tra i benefici immediati della spesa pubblica e i danni posposti che essa stessa provoca. Il caso delle pensioni è il più chiaro di tutti: benefici alla generazione attuale, danni alle generazioni successive a causa di un sistema pensionistico che, se non riformato radicalmente, non sarà in grado di assicurare l’erogazione delle pensioni ai lavoratori di domani. Quest’effetto non riguarda solo le pensioni ma in generale tutto il debito pubblico che lo Stato ha accumulato col passare degli anni. È un debito che ha provocato benefici immediati ma anche danni posposti: dall’ammanco di credibilità finanziaria del sistema Paese nel suo complesso, che fa molto male a tutti, all’impossibilità di spendere soldi per ciò che è indispensabile che lo Stato faccia in alcuni settori importanti della vita del Paese a partire dall’ammodernamento delle infrastrutture.
Dunque è sostanzialmente un welfare spendaccione all’origine dell’aumento sconsiderato della spesa pubblica. Un welfare che ha dato troppo generosamente a troppi e non solo a chi ne aveva realmente bisogno provocando, tra l’altro, una deresponsabilizzazione generale sulla spesa pubblica, sulla sua entità, sui suoi danni. Questo aumento andava bloccato in tempo ma la politica, e si capisce bene, ha posticipato il più possibile perché ogni governante ha preferito far compiere quest’opera a chi sarebbe venuto dopo. I cittadini beneficiari di tale spesa hanno invocato il perpetuarsi di questo tipo di welfare o perché ne erano vittime inconsce (vittime delle tasse attuali e dei danni posposti) o perché, pur sapendolo, non potevano fare a meno di quei soldi (imprese che invocavano l’aiuto dello Stato per coprire le proprie incapacità e inefficienze).
C’è poi da rilevare una questione importante che riguarda i sistemi economici nazionali. Le economie che sono riuscite e riusciranno a essere favorite nel lungo periodo non saranno quelle in grado di sostenere la spesa pubblica con forte prelievo fiscale, ma quelle che sapranno far sviluppare il reddito e quindi allargare la base imponibile, cioè coloro che pagano le tasse.

È fallito il pensiero economico che sosteneva la spesa pubblica come rimedio agli insuccessi del mercato. Ora occorre trovare le soluzioni a questo problema e far convivere, in altro modo, esigenze del mercato ed esigenze dello Stato.

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