Tbilisi ammette le sue «colpe» Resa dei conti per Saakashvili

Il vice ministro della Difesa al Financial Times: «Abbiamo voluto la guerra, ma è stato un errore»

È stata Tbilisi a promuovere l’attacco che ha scatenato la guerra con la Russia in Caucaso. È stata Tbilisi a peccare di ingenuità, credendo che «un membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dell’Osce (la Russia) non potesse reagire in quel modo». Ma Tbilisi è finita solo in una trappola tesa ad arte dell’eterno rivale: il Cremlino aveva iniziato ad ammassare mezzi e forze in Ossezia del sud prima del via libera georgiano ai bombardamenti. A ricostruire l’avvio e il retroscena dei cinque giorni della guerra tra Mosca e Georgia è stato lo stesso vice ministro georgiano della Difesa, Batu Kutelia, in un’intervista uscita ieri sul Financial Times. Il politico ammette l’«impreparazione» delle forze georgiane e i significativi danni subiti alle infrastrutture.
Kutali mette in piazza l’azzardo tentato dal presidente Mikhail Saakashvili attaccando Tskhinvali, la capitale di una delle repubbliche secessioniste. E più che all’autorevole quotidiano di finanza, sembra rivolgersi a chi patria non ha intenzione di chiudere gli occhi dopo la disfatta. Mettendo in crisi la poltrona del sempre più impopolare «Misha».
«Saakashvili dovrà rispondere a domande pesanti». «Siamo pronti a scendere in piazza». «Alla prima occasione chiederemo elezioni anticipate». Sono di questo tenore gli avvertimenti che da giorni piovono minacciose sul presidente. Arrivano dall’opposizione politica. Sotto le bombe di Mosca la leadership georgiana ha compattato i ranghi e appianato le divergenze per contrastare le mire espansionistiche russe. Cessate le ostilità sul campo militare, i rivali del presidente filo-americano hanno tutta l’intenzione di mettere alla sbarra quel governo, che «ha trascinato il Paese in una guerra destinata a perdere».
Tra gli esponenti politici che iniziano ad alzare la voce, Nino Burjanadze, ex speaker del parlamento ora all’opposizione. «Il presidente dovrà spiegare cosa è successo e perché», dichiara la donna appena il 18 agosto. E poi: «Formerò presto un mio partito». Lo stesso giorno rompono i ranghi anche i leader dei partiti “Repubblicano” e dei “Nuovi diritti”, Davit Usupashvili e Davit Gamkrelidze. Stesse richieste. Ancora più duro Levan Gachechiladze, ex candidato presidenziale e tra i più critici dell’«autoritarismo» di Saakashvili: «Sapendo della nostra inferiorità, il governo doveva fare di tutto per evitare lo scontro. È tutta colpa sua».
La guerra caucasica sancisce, per l’opinione pubblica interna, il fallimento della politica estera dell’occidentale «Misha». Ora si trova con un’opposizione che scalpita, un esercito umiliato, una nazione amputata e indici di gradimenti a picco. Analisti ipotizzano che, una volta calmate le acque tra il Cremlino e la Casa Bianca, a Saakashvili sarà «consigliato» di defilarsi. Anche destituito Misha, a meno che non si affacci una figura come l’ex capo di Stato filo-sovietico Shevardnadze, non è sicuro che il leader alternativo sarà più accomodante con Mosca.
In questo quadro diventano palesi le recenti allusioni di Vladimir Lukin.

Tra i padri fondatori del partito Yabloko, ora ai vertici della Commissione diritti umani russa, Lukin spiega alla radio indipendente “Eco di Mosca”: «La Russia non ha fretta di riconoscere l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud, perché nel frattempo a Tbilisi...potrebbe succedere qualcosa».

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