I tentativi di attentato a Londra e a Glasgow - per fortuna senza vittime - e il discorso del nuovo premier inglese Brown hanno immediatamente riproposto il dilemma. Si tratta di Al Qaida, come sostiene il primo ministro britannico, o di dilettanti allo sbaraglio, come suggeriscono alcuni esperti, i quali pensano che la minaccia di Al Qaida sia sistematicamente sopravvalutata dalle amministrazioni inglese e americana? Forse occorre riformulare la domanda, e tornare a chiedersi anzitutto che cos'è Al Qaida.
Al Qaida è stata nella sua prima generazione - le cui attività sono culminate negli attentati dell'11 settembre 2001 - una formazione terrorista classica, una sorta di esercito disciplinato e bene addestrato (in Afghanistan) dove i capi decidevano quali attentati compiere, sceglievano gli esecutori e pianificavano le modalità. L'11 settembre è stato insieme il trionfo e l'inizio della fine per la prima generazione di Al Qaida, perché la reazione americana ha costretto la cupola a rifugiarsi in una remota clandestinità e a limitare le comunicazioni, e i campi di addestramento afghani sono stati chiusi.
Si è passati così alla seconda generazione, che ha ottenuto il suo maggiore successo con l'attentato di Madrid dell'11 marzo 2004. Dal modello esercito si è passato al modello guerriglia, dall'organizzazione verticale e gerarchica a una sorta di franchising. La cupola di Al Qaida trasmetteva parole d'ordine e istruzioni in modo indiretto - attraverso agenti ed emissari che si erano formati in gran parte ancora in Afghanistan - a cellule indipendenti, che una volta formate erano in grado di agire in qualunque momento, talora coordinando gli attentati con i capi dell'organizzazione di Bin Laden (è il caso di Madrid), talora decidendoli autonomamente.
Anche questo modello è oggi in crisi. Qualunque cosa se ne dica e se ne scriva, Bush e Blair (e il terzo «B», Berlusconi, finché è stato al governo) hanno conseguito vittorie decisive nella guerra al terrorismo di Al Qaida, anche se questa non è certo ancora finita. Ma centinaia di agenti sono stati arrestati, e la cupola è principalmente impegnata a nascondersi in qualche remota area fra Pakistan e Afghanistan, non a preparare attentati. La dirigenza della seconda generazione emersa in Irak si è rivelata inaffidabile e ribelle, tanto che Zarqawi è stato probabilmente ucciso dagli americani grazie a informazioni fatte arrivare ai marines dagli stessi capi di Al Qaida.
Ma è nato un terzo modello, dove l'organizzazione è ridotta al minimo, e tutto lo sforzo è consacrato a trasmettere propaganda e istruzioni via pubblicazioni clandestine, videocassette e Internet. La cupola non sa più nemmeno chi esattamente riceva queste istruzioni: sono messaggi in bottiglia, lanciati nel mare del cyberspazio - ma anche delle moschee radicali - che possono essere raccolti da chiunque. Chi riceve il messaggio deciderà autonomamente quando e come agire. Si tratta, certo, di un terrorismo autogestito, spesso pasticcione e che fallisce gli attentati. Ma la sua imprevedibilità rende la terza generazione di Al Qaida per altri versi ancora più pericolosa, perché se è possibile identificare gli agenti di un'organizzazione è quasi impossibile censire gli aspiranti kamikaze fai da te.
Peraltro, le tre generazioni di Al Qaida operano insieme. La cupola ha ancora uomini che sognano un grande attentato di prima generazione. Ci sono ancora cellule della seconda generazione. Ma Londra e Glasgow mostrano che è la terza che ora preoccupa.
Massimo Introvigne
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