Tfr, la Lega rimane sulle barricate

Calderoli si associa alle minacce di dimissioni di Maroni. Pronta una bozza che incentiva i «fondi aperti» e non penalizza le assicurazioni

Antonio Signorini

da Roma

«È chiaro che, se Maroni dovesse dare le dimissioni, a seguire verrebbero immediatamente anche le mie di dimissioni». Lo slittamento della riforma del Trattamento di fine rapporto diventa un caso politico, con la Lega Nord decisa a sostenere il responsabile del Welfare e lo stesso Maroni che accusa Palazzo Chigi di aver fatto proprie le argomentazioni delle compagnie di assicurazioni. Mercoledì il Consiglio dei ministri ha deciso di rinviare alle Camere il decreto che lancia la previdenza integrativa attraverso il conferimento delle quote del Tfr dei lavoratori ai fondi pensione. I ministri leghisti hanno votato contro il rinvio, parlando esplicitamente di «pressioni» da parte delle assicurazioni.
E ieri il responsabile del Lavoro ha minacciato le dimissioni nel caso in cui la riforma non venga approvata. Il ministro Roberto Calderoli si è subito affiancato a Maroni, prospettando anche le sue dimissioni e accusando gli altri colleghi che hanno partecipato al Consiglio dei ministri: «Non ci ha fatto piacere - ha raccontato - vedere un ministro con in mano la documentazione dell’Ania (l’organizzazione che rappresenta le compagnie, ndr)». Al ministero del Welfare si fa strada l’idea che la situazione sia difficilmente recuperabile, che la riforma previdenziale sia veramente a rischio e che stiano prevalendo le ragioni degli assicuratori. A rafforzare questa impressione il documento che Palazzo Chigi ha mandato in Parlamento per motivare il rinvio. Ci sono «argomenti esterni - si legge in una nota del Welfare - che non sono stati oggetto della discussione avvenuta nel Consiglio dei ministri» e «che sembrano riprendere tutte le argomentazioni contrarie alla delega sostenute dall’Ania».
Nel documento si legge ad esempio che «il governo ritiene opportuno suggerire una diversa formulazione» del decreto «garantendo una maggiore possibilità di adesione collettiva ai fondi aperti ed una maggiore libertà economica sia per i lavoratori sia per le imprese».
Il riferimento è alla questione più controversa, cioè quella dei contributi al Tfr che pagano gli imprenditori. Secondo il compromesso raggiunto dal ministero del Welfare dopo mesi di trattative, devono andare solo ai fondi chiusi o contrattuali, quelli, cioè, gestiti da sindacati e datori. Le assicurazioni vorrebbero invece eliminare questo limite e il governo - secondo le motivazioni - condivide questo orientamento. Il fatto è - riferisce una fonte del Welfare - che la discussione al Consiglio dei ministri è stata completamente diversa e non è uscito un orientamento comune. C’è stato chi ha sostenuto le ragioni dei sindacati - che vorrebbero favorire ancora di più i fondi chiusi - e chi invece si è schierato per i fondi aperti, come l’Ania.

I sindacati - che nei giorni scorsi avevano comunque sollevato qualche perplessità - si sono schierati per un iter rapido. Della stessa opinione Confindustria e anche l’Abi, l’associazione dei banchieri che era stata indicata dalla Cgil come uno dei poteri che ha affossato il decreto.

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