da Parigi
«Non tocca alla Cina decidere la mia agenda e i miei appuntamenti», dichiara a Strasburgo Nicolas Sarkozy al termine di una giornata di polemiche su due fronti: quello contro il leader dei Verdi europei Daniel Cohn-Bendit, che ha violentemente criticato la scelta del presidente francese di recarsi l'8 agosto a Pechino per la cerimonia d'apertura dei Giochi olimpici, e quello - ben più delicato e insidioso - contro il governo della Repubblica popolare, letteralmente inviperito dai continui tiramolla francesi. Ieri Sarkozy ha continuato a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Parlando all'Europarlamento in occasione dell'inizio del semestre di presidenza francese dell'Unione ha detto: «Ho ricevuto da tutti i ventisette Stati membri dell'Ue un sì per il mio viaggio a Pechino in occasione della cerimonia d'apertura delle Olimpiadi. Non si può boicottare un quarto del genere umano». Cohn-Bendit, che quarant'anni fa guidò il Sessantotto francese e che guida oggi il gruppo dei Verdi all'Europarlamento, gli ha risposto seccamente: «È una vergogna. Quando Sarkozy scriverà un giorno le proprie memorie, rimpiangerà d'essersi comportato in questo modo».
Meno esplicito, ma certamente più preoccupante, è l'attacco cinese all'Eliseo. Certo Pechino incassa la promessa del viaggio di Sarkozy, ma al tempo stesso non riesce assolutamente a digerire la visita che il Dalai Lama, leader spirituale dei buddhisti tibetani, compirà il mese prossimo in Francia proprio per volontà del presidente francese. Un'autentica offesa per i vertici cinesi, già irritatissimi per l'accoglienza ostile che la fiaccola olimpica ha ricevuto alcune settimane fa a Parigi. A seguito di quella vicenda le agenzie turistiche cinesi hanno cancellato dal proprio catalogo le destinazioni francesi, preoccupando non poco le autorità di Parigi. Il prossimo viaggio di Sarkozy a Pechino avrebbe dovuto cicatrizzare la ferita e invece ha finito con lo spargervi altro sale. Cercando di barcamenarsi tra pressioni interne e internazionali, l'Eliseo ha infatti lasciato intendere che a metà agosto il Dalai Lama potrebbe essere ricevuto in Francia al massimo livello. Non solo. Ieri Sarkozy ha dichiarato a Strasburgo che, una volta a Pechino, si batterà per la liberazione di una serie di detenuti politici (il ministro degli Esteri Bernard Kouchner è incaricato di redigere la lista) e che premerà anche per l'abolizione della pena di morte in Cina. Atteggiamenti del genere hanno già provocato nei giorni scorsi l'accusa cinese alla Francia di «ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano». Critiche che rischiano di moltiplicarsi.
La tensione franco-cinese s'intensifica di giorno in giorno e l'Europa rischia di fare le spese degli equilibrismi di Sarkozy tra Realpolitik e «buoni sentimenti». Nei giorni scorsi il presidente cinese Hu Jintao aveva detto che «Sarkozy è il benvenuto in Cina, anche se la popolazione potrebbe nutrire sentimenti diversi». Una frase tutta cinese per dire che il comportamento della Francia sulla questione tibetana sta seriamente indispettendo l'opinione pubblica del grande Paese asiatico e che potrebbe anche provocare reazioni sgradite.
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