Tombe abusive nei cimiteri, altri 13 indagati

Nei quattro forni del Flaminio mancano i filtri di depurazione

Altri tredici indagati per la vicenda delle tombe abusive scoperte al Verano e al Flaminio. Si tratta dei titolari delle altrettante cripte a cui i carabinieri hanno messo i sigilli e su cui ora pende l’accusa di concorso in corruzione con Alfredo G., l’imprenditore delle pompe funebri arrestato martedì insieme con Francesco R., l’ex dirigente Ama a capo del catasto cimiteriale. Un giro di mazzette per sottrarre dagli archivi dell’agenzia partecipata che gestisce i camposanti nella Capitale le graduatorie delle richieste delle concessioni, contattare i richiedenti e, di fatto, sostituirsi ai funzionari pubblici proponendo l’acquisto di una cappella in costruzione. In molti casi agli acquirenti venivano fatti firmare moduli per licenze edilizie che, in realtà, non esistevano. I pagamenti indirizzati al Comune di Roma, invece, erano dirottati su conti correnti privati. Un business da capogiro su cui l’inchiesta aperta dal pm Giovanni Bombardieri è tutt’altro che chiusa. Anzi. Basti pensare all’iter per l’installazione del sistema di telecamere per la vigilanza interna, inspiegabilmente arenato nel tempo. Annunciato dai vertici dirigenziali e richiesto con forza dal sindaco Walter Veltroni all’indomani dello scandalo seguito ai danneggiamenti delle tombe ebraiche nell’estate del 2002, del «grande fratello» che avrebbe dovuto sorvegliare sul perimetro e nei riquadri del cimitero monumentale tra i più grandi d’Europa, neanche l’ombra. Nonostante i fondi per la realizzazione siano già stati stanziati, non è stata nemmeno indetta la gara d’appalto.
E se almeno i morti si spera riposino in pace, di pace ce n’è poca per i responsabili dei servizi cimiteriali della Spa capitolina. Ieri i carabinieri di Prima Porta hanno bussato agli uffici di N.D., ispettore cimiteriale (funzione pubblica) con incarico anche nell’agenzia (privata) Ama per le onoranze funebri. Al responsabile del Flaminio i militari hanno chiesto spiegazioni sullo strano caso di Adalberto De Giuli, l’anziano morto sotto i ferri il 2 marzo scorso all’ospedale di Bracciano e cremato «per sbaglio» la mattina del 12. La richiesta di cremazione era stata sospesa dal pm Pantaleo della Procura di Civitavecchia dopo che i familiari avevano denunciato i medici per omicidio colposo. Nonostante l’autorizzazione alla sola tumulazione, la salma (sequestrata il 6) e con essa eventuali prove sono finite ugualmente in polvere mandando il magistrato su tutte le furie. Da quella mattina i quattro forni hanno posticipato l’apertura dalle 5 alle 6. La macabra fabbrica delle ceneri lavora al ritmo di venti cremazioni al giorno. Ciascuna dura un’ora circa. Per il Centro-Sud si tratta di uno degli apparati maggiormente operativi. Per non dare troppo nell’occhio, qualcuno ha pensato bene di tagliare alla base le quattro ciminiere, così da rendere più difficile individuare all’esterno da dove provenga il denso fumo nero.

Pulviscolo pronto a ricadere a terra con le prime piogge e che da circa un anno non viene neppure depurato. Incredibile ma vero, ai quattro forni in funzione a Prima Porta, infatti, mancano i filtri. Rimossi i vecchi da allora nessuno si è preoccupato di sostituirli.

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