Torino, il candidato pd si affida a Chiamparino in caduta libera

L’immagine non è proprio di quelle che ti trasfondono la voglia di correre ai seggi: lui, Antonio Saitta, in maglioncino grigio, occhiali, braccia incrociate, faccia seriosissima e alle spalle un incravattato Sergio Chiamparino. La provincia di Torino ne è tappezzata. È il manifesto elettorale del candidato del centrosinistra, Saitta appunto, un ex Margherita in cerca di riconferma. Nemmeno lo slogan è particolarmente incisivo: «Un impegno che continua. Insieme».
Ma il guaio maggiore di quel poster è la presenza del sindaco. Saitta cercava in Chiamparino una spalla, un uomo-immagine, un solido appoggio in una campagna elettorale molto rischiosa perché la candidata del centrodestra è una battagliera imprenditrice quarantenne, Claudia Porchietto, capace di raccogliere un consenso trasversale. Saitta-Chiamparino, dunque, doveva essere un tandem affiatato per mantenere la saldatura dell’asse Comune-Provincia. Invece, povero Saitta: ha scelto il momento sbagliato per chiedere il sostegno del sindaco, maltrattato dalla sua maggioranza, indispettito dagli strappi della sinistra radicale e dell’Italia dei valori, tentato di chiamare in appoggio le truppe dell’Udc o addirittura di mandare tutti a casa. Così quel manifesto dalle facce preoccupate e dallo slogan debole diventa la fotografia del Partito democratico, sempre più in difficoltà.
Chiamparino ha scelto la data simbolica del 1° maggio per denunciare tutte le magagne in cui si dibatte. Mentre sfilava per le strade di Torino nel corteo dei lavoratori a fianco della governatrice Mercedes Bresso e del segretario di Rifondazione Paolo Ferrero, i lettori della Stampa scorrevano una sua intervista dai toni ultimativi. «Sinistra addio, nuova giunta o tutti a casa» è il titolo. Il colloquio è uno sfogo a un mese dalle elezioni europee e provinciali che toglie il velo dalla crisi che attanaglia una delle roccheforti del centrosinistra.
Il sindaco di Torino non esclude elezioni anticipate (è a metà del suo secondo mandato) perché «è difficile pensare che si possa andare avanti con una parte della maggioranza che su tutte le delibere più importanti si esprime contro». Annuncia una verifica imminente che potrebbe portare a clamorose novità, con l’ingresso dell’Udc in giunta al posto di Rifondazione, Sinistra democratica e Italia dei valori: «Con l’Udc c’è un dialogo aperto, trasparente, loro sono nostri interlocutori se lo vogliono essere». Le opzioni sono tre: restringere la maggioranza, coinvolgere i centristi oppure tutti a casa. Vada come vada, il centrosinistra ne uscirà comunque con le ossa rotte in una fase delicatissima come è l’inizio di una doppia campagna elettorale.
Il punto di rottura («per quel che mi riguarda non si può più tornare indietro», ha tuonato Chiamparino) è stato il no del Prc, Sd e parte dell’Idv sulla fusione tra Iride, l’ex municipalizzata torinese dell’energia quotata in Borsa e controllata assieme a Genova, e l’emiliana Enia: secondo la sinistra radicale non era garantito il 51 per cento di controllo pubblico. «Un atto di ostilità politica», ha tagliato corto Chiamparino che ha portato a casa per un soffio le nozze Iride-Enia per il voto contrario di otto consiglieri tra cui Beppe Castronovo, presidente del consiglio comunale, e di due capigruppo. In passato il partito di Ferrero si era già opposto al grattacielo Intesa-Sanpaolo mentre si era astenuto su operazioni come l’accordo con la Juventus per il nuovo stadio.
Insomma, Saitta che si fa spalleggiare da Chiamparino è come un fantino in crisi che cavalca un purosangue sfiatato. Una situazione che dà la misura degli imbarazzi del centrosinistra torinese.

Che poi sono le stesse grane che si verificano in tante città guidate dalla vecchia alleanza che sostenne il governo Prodi: Bologna, disorientata dal dopo Cofferati; Reggio Emilia, dove si scontrano due candidati del Pd (un ex Ds e un'ex Margherita); Firenze, frammentata dall'esito a sorpresa delle primarie.

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