Torna la messa in latino Pronto il decreto del Papa

Andrea Tornielli

da Roma

Il testo è pronto, manca soltanto la firma del Papa. Benedetto XVI potrebbe pubblicare già entro la fine del 2006 un «Motu proprio» con il quale si liberalizza l’uso del messale preconciliare permettendo così a gruppi di fedeli di chiedere la celebrazione dell’antica messa senza andare incontro a risposte negative, talvolta neanche motivate, da parte dei singoli vescovi. Il documento «riabiliterà» la Messa detta di San Pio V, celebrata nella Chiesa cattolica latina fino al 1969 e mai dichiarata decaduta, definendola un rito universale «straordinario», a fianco del rito romano ordinario che è quello post-conciliare. In questo modo, la vecchia messa tornerà ad avere piena cittadinanza, così come ce l’hanno altri riti cattolici, quali ad esempio quelli bizantino, mozarabico o siro-antiocheno. E i vescovi non si potranno più rifiutare di concederla, come spesso oggi accade.
È noto da tempo il pensiero di Papa Ratzinger al riguardo: in materia liturgica si è verificata una vera e propria rottura con il passato e la riforma seguita al Vaticano II non soltanto è andata ben oltre la lettera del Concilio stesso, ma è stata ed è tutt’oggi applicata male in molti Paesi, dove esistono numerosi abusi liturgici che finiscono per ridurre la Messa ad uno show. Così, si tollera ormai quasi di tutto sull’altare, ma si chiudono le porte a quei fedeli che, anche a causa di questi abusi, sono rimasti attaccati o hanno riscoperto l’antico rito. «Purtroppo da noi – aveva affermato qualche anno fa il cardinale Ratzinger nel libro intervista Il Sale della terra – c’è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n’è per l’antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata». Il futuro Benedetto XVI aveva anche aggiunto: «Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi – aveva affermato Ratzinger – nel consentire l’antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?».
Dopo aver consultato i cardinali della curia romana e aver posto la questione anche al concistoro dello scorso febbraio, affermando che la teologia della Messa tridentina non può essere definita «riduttiva», Benedetto XVI ha incaricato il cardinale Darío Castrillón Hoyos, Prefetto del clero e presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei», di procedere. È stata quindi elaborata una prima bozza di testo, che il Papa ha poi girato alla Congregazione del culto divino. Qui il cammino del decreto, a causa di alcune resistenze interne al dicastero, è stato reso più difficile: si è pensato di porre un tetto minimo di fedeli richiedenti fissato inizialmente in 100 e poi abbassato a 30, e sono stati eliminati dalla bozza tutti i riferimenti agli abusi liturgici. Il testo è quindi ritornato al Pontefice e all’«Ecclesia Dei». Oltre a Castrillón, della stesura del testo si è occupato il cardinale Julián Herranz, presidente del Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi.
Il «Motu proprio» per liberalizzare il nuovo messale, iniziativa che incontra notevoli resistenze dentro e fuori la Curia romana, dovrebbe facilitare anche il raggiungimento della piena comunione con i lefebvriani della Fraternità San Pio X, che si sono sempre battuti per questo.

Ovviamente, se il Papa firmerà come sembra intenzionato a fare, ciò non significa che dall’oggi al domani il semplice fedele si ritroverà in parrocchia la messa celebrata alla vecchia maniera. Sarà necessario infatti armonizzare le istanze dei fedeli tradizionalisti con quelle degli altri parrocchiani.

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