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È tornata a morire nella sua amata Firenze

Ad assisterla la sorella Paola e il nipote Edoardo. E monsignor Fisichella, il vescovo che l’accompagnò dal Papa, le ha tenuto la mano fino alla fine

Domizia Carafòli

Oriana Fallaci è morta a Firenze nella notte fra giovedì e venerdì. Era l’1,30 e lei ha chiuso gli occhi per «collasso cardiocircolatorio terminale», come si legge nella cartella clinica. Aveva 77 anni. Rumorosa in pubblico, la Fallaci preferiva il silenzio sul suo privato. «Era come Greta Garbo - ha detto il nipote Edoardo che l’ha accompagnata nel volo da New York a Firenze il 4 settembre -: non voleva neppure far sapere che stava male».
Invece stava male da un pezzo. Il cancro (l’«alieno») con cui combatteva da più di dieci anni, stava per averla vinta. Della malattia, a dire il vero, Oriana non ha mai fatto mistero, dichiarando che non è una vergogna avere il cancro e che è ridicolo chiamarlo «brutto male» o «male inguaribile». Tanto per smentirsi, ne aveva dato la colpa a qualcuno, nella fattispecie a Saddam che aveva incendiato i pozzi di petrolio nel Kuwait: «Ho respirato quella nube nera e mi sono ammalata».
Oriana ha festeggiato la sua ultima serata nell’appartamento dell’Upper East Side a Manhattan con una cena a base di ostriche e champagne, e la mattina dopo è partita per Firenze, dove è stata ricoverata nella clinica privata Santa Chiara, nel centro del capoluogo toscano. Dalle finestre si vede la cupola del Brunelleschi. Ad assisterla, la sorella Paola e il nipote Edoardo. E monsignor Rino Fisichella, il vescovo che l’aveva accompagnata da Benedetto XVI il 27 agosto 2005, e che l’altra notte le ha tenuto la mano negli ultimi momenti.
Statunitense d’adozione, la Fallaci era rimasta legatissima alla città dove era nata il 29 luglio 1929 e dove aveva mantenuto la residenza in via Prati. In febbraio, in una delle sue ultime uscite pubbliche a New York, aveva dichiarato che vi sarebbe tornata per morire. L’ultima intervista l’aveva invece concessa a Margaret Talbot del New York Times, strepitando ancora una volta contro l’odiatissismo Islam. L’ultimo suo incubo era la moschea che dovrebbe sorgere a Colle Val d’Elsa. «Non voglio un minareto nel paesaggio di Giotto. Se sono ancora viva, vado dai miei amici anarchici di Carrara, prendo l’esplosivo e la faccio saltare!».
Del suo ricovero nella clinica Santa Chiara pochissimi erano informati. Ma ieri pomeriggio sono arrivati i mazzi di fiori deposti all’ingresso, fra i quali le rose rosse inviate dal senatore di Forza Italia Paolo Amato. Anche il sindaco di Firenze Leonardo Dominici ha mandato un cuscino di rose che è stato portato nella stanza della defunta.
I funerali si svolgeranno domani in forma strettamente privata. Sempre che di funerali si tratti. «Oriana non voleva niente - ha detto il nipote -, forse non ci sarà neppure una funzione. Ci ritroveremo in pochissimi». La salma, che per adesso è ancora a Villa Santa Chiara, rivestita di un tailleur e con al polso un orologio militare, sarà tumulata nel cimitero evangelico degli Allori accanto al padre Edoardo. Vicino è anche un cippo che ricorda Alekos Panagulis, l’esponente della resistenza ai colonnelli greci, che fu il suo grande e turbolento amore. La loro storia sentimentale si svolse in parte anche a Firenze dove vissero in una casa sulla collina di Bellosguardo.

Dopo la sua morte in un incidente stradale (di cui Oriana accusò i colonnelli) la scrittrice ne chiese invano la salma.

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