La tragedia libica e il lato farsesco dei «repubblicones»

Caro Granzotto, il Presidente Napolitano, a proposito del caso Libia, ha fatto alcune dichiarazioni che mi lasciano un po’ perplesso e cioè: «Noi non siamo in guerra» (ma le nostre basi e i nostri aerei a che servono?); «non potevamo esimerci dal partecipare all’intervento» (però avremmo potuto porre alcune condizioni); «il capitolo settimo della Carta delle Nazioni afferma che in caso di sovvertimento dell’ordine sociale e/o politico di uno Stato, gli stati aderenti hanno la facoltà di intervenire anche con le armi» (ma chi l’ha creato il sovvertimento?).
Roma

A quanto si è detto nell’«Angolo» sui recenti fatti di Libia vorrei aggiungere: e meno male che i politici giovani sono la svolta dei nuovi tempi, dei nuovi governi, la lucidità personificata assisa al posto giusto al momento giusto. In una parola: la soluzione. Davvero meno male. Barack Obama: classe 1961, 50 anni (non compiuti); Nicolas Sarkozy, classe 1955: 56 anni; David Cameron: classe 1966, 45 anni (non compiuti). Ecco qui tre eminenti falchi dell’attacco alla Libia, che la nostra Impresa del 1911, in confronto, pare quasi un capolavoro di intelligenza. Non ero granché convinto che la mia età (ho giusto 44 anni), in un mondo come questo di oggi fosse l’ideale per reggere le sorti di uno Stato. Ma mi creda, comincio ad augurarmi che rappresenti l’eccezione piuttosto che la regola.
Luca Avellino
Campomorone (Genova)

Mi e le chiedo: qualora la guerra in Libia fosse breve, qualora seguissero, naturalmente sotto l’egida dell’Onu, le democratiche elezioni, e qualora tali operazioni di voto terminassero con la vittoria del presente raìs, come la metteremmo?
Giuseppe Tognetti
e-mail

Chi se lo sarebbe aspettato, eh, cari lettori? Un Presidente posato, ultrapacifista come Napolitano che di punto in bianco calza l’elmetto e va alla guerra. Un terzetto di giovani - fra i quali nientedimeno che un messia, l’uomo «dalla mano tesa» - protagonisti di quel cambio generazionale invocato a più non posso, che arronzano un papocchio come quello dell’intervento militare in Libia. E infine l’uno e gli altri che vanno all’attacco non solo senza porsi la domanda che lei e milioni d’altri si sono posta, caro Tognetti, ma senza nemmeno saper cosa fare una volta bombardato a tappeto bunker e quartier generale di Gheddafi. Che possono acchiappare solo avendo un colpo di fortuna grande così, perché non ci vuole von Clausewitz, basta Carla Bruni, per sapere che certe cose si risolvono con le truppe di terra, non con gli angeli sterminatori dal cielo. Vedi Saddam. Che pastrocchio! Obama non sa (non ha mai saputo) cosa fare. L’Europa - che pure ha un conducator, Herman van Rompuy e un ministro degli Esteri, la baronessina Catherine Ashton, che ci costano un occhio della testa - tace. Sarkozy e Cameron che sembra vogliano vendicare - sì vendetta, tremenda vendetta - l’onta di Suez (anno 1965) seppellendo Tripoli sotto le bombe. Il Canada che non si capisce - e non capisce - che ci azzecca. La Merkel che dice «fate vobis». Putin che replica «fate vobis un bel niente». Il mondo in giostra, praticamente. Per fortuna anche questa tragedia ha il suo lato farsesco, cabarettistico, che tira un po’ su quel morale altrimenti a terra.

È la Repubblica, la quale seguita indefessa a produrre articolesse per spiegare agli allocchi che quella in Libia è una missione di pace, umanitaria e «de sinistra» (intanto, in Egitto i Fratelli musulmani incassano la loro vittoria al referendum. Intanto, nello Yemen il fondamentalismo terrorista sta avendo la meglio. E noi qui, a cincischiare assieme al presidente Napolitano sulla no fly zone).
Paolo Granzotto

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