La trappola per le bandiere

I veri tifosi hanno spento i cassonetti in fiamme e salvato donne e bambini dalle cariche mentre i teppisti davano lezioni di guerriglia

La trappola per le bandiere

(...) dagli altri. Hanno provato a fermare i teppisti. Molti ne hanno persino pagato le conseguenze, con gli occhi gonfi e le gole in fiamme per i lacrimogeni. Molti hanno rischiato anche di restare travolti per colpa di chi bruciava la propria bandiera. La storia della notte di follia è fatta anche di tanti piccoli momenti che sui giornali di solito non ci finiscono, perché fanno meno notizia di un cassonetto bruciato o di una carica della polizia. Momenti che iniziano alle nove della sera, in piazza De Ferrari, in mezzo alla folla che cresce piano piano. Ci sono, nonostante i timori, i passeggini, i bastoni e un ragazzo che si alza dal muretto per lasciare sedere una signora anziana che è arrivata in orario e proprio non ce la fa ad aspettare che il corteo parta. Neanche più sull’autobus. C’è anche un ragazzo che sale su un «panettone» di cemento e chiede a tutti di fare cori spontanei, nulla di organizzato. E il primo urlo è «Serie A». Ce n’è poi per chi ha distrutto il sogno atteso dieci anni a suon di sentenze aberranti nella forma e quindi inaccettabili in una sostanza magari anche giusta nella sua infinita durezza. Ma restano cori. Fino in piazza Fontane Marose e sotto la galleria della Zecca, che rende assordante un tifo da finale di Champions.
Poi inizia l’altra notte. Quella che finisce sui giornali. Piazza della Nunziata è lo spartiacque. Ci sono i primi cantieri di lavori, cassonetti più grandi per contenere anche gli scarti delle costruzioni. Ampi fogli di nylon, legna, carta e cartone. Combustibile, in una parola. Un invito per chi si è già tirato sulla fronte il cappuccio della tuta da imbianchino, sugli occhi la maschera da saldatore e una sciarpa sulla bocca. Ma il primo maxi cassonetto che brucia rischia di appiccare il fuoco alle impalcature, all’intero palazzo. Volano gli insulti verso l’imbecille che ha appiccato l’incendio e che sta già scappando. Non basta, perché una decina di persone lascia il gruppo e a mani nude tira fuori la roba che brucia dal cassonetto e la spegne a pedate. Tra gli applausi.
Ma la polizia ancora non c’è, in fondo a via Balbi. La testa del corteo la imbocca decisa. È l’ora del vandalismo, per chi in gruppo abbatte le fioriere, ma anche l’ora di armarsi per chi non sperava neppure di riuscire a trovare spranghe, sassi e qualsiasi oggetto da guerriglia anche lungo il cammino. In cima però la polizia c’è. La stazione questa volta non può essere invasa, i treni non devono essere fermati. Ormai tutto il corteo è in via Balbi. Anche i bambini, gli anziani e le persone normali nelle retrovie, che cantano ancora come fossero in tribuna superiore. Per chi non ha fatto il G8 e non è abituato agli scioperi o alle manifestazioni degli anarchici non è facile cogliere alcuni segnali negativi, specie a centinaia di metri e migliaia di persone di distanza. Quando il segnale è evidente è troppo tardi, la carica della polizia è già partita, i lacrimogeni ad altezza d’uomo sono stati già sparati. E vedersi venire incontro una massa di persone terrorizzata è quanto di più rischioso possa accadere in una situazione di ordine pubblico. Anche perché intanto la polizia ha chiuso anche la via di fuga, schierandosi con i caschi e gli scudi in piazza della Nunziata. Una trappola. Solo che è scattata anche e soprattutto per quelli che le trappole non le conoscono. «Lasciamo sempre una via di fuga per consentire a chi manifesta pacificamente di allontanarsi», conferma il questore Presenti. La scorsa notte le vie di fuga c’erano, ma erano quei vicoletti, alcuni senza sbocco, che salgono da via Balbi verso Castelletto, o scendono verso il centro storico.
Chi prima spegneva i cassonetti ora è costretto a prendere donne e anziani, veri tifosi e bambini per il colletto e trascinarli via dalla strada, spingerli nei vicoletti, per evitare di farli calpestare. E poi deve fare da Tuttocittà, per spiegare dove si arriva da una parte e dall’altra, per aggirare il campo di battaglia e superare gli sbarramenti della polizia tra Principe e la Zecca. In quei vicoletti, prima di loro, però c’erano già molti appartenenti all’«infima teppaglia». Loro sapevano già cosa fare, tanto che alla fine si registrano solo un arresto e una denuncia, più una trentina di identificazioni per i violenti, le cui gesta sono state sotto gli occhi di tutti. In uno dei «vicoli di fuga» un uomo con la sua bandiera ancora in mano, perde la testa. Piangendo per i lacrimogeni e ancor più per essersi trovato senza aspettarselo nel bel mezzo di una guerriglia, vede un poliziotto che accenna a salire anche nel carruggetto e reagisce istintivamente lanciando un pezzo di legno trovato in terra. Chi gli salta letteralmente al collo è un ragazzotto senza bandiera e a torso nudo, uno di quelli che poco prima erano in prima fila a menar le mani contro gli agenti: «Sei un idiota, ci sono donne e bambini. Qui è strettissimo, se vengono su è una carneficina. Capisci cosa hai fatto? Se vuoi, vieni giù tra un po’.

In campo stretto non si attacca la polizia». A fatica gli altri lo fermano. Lezioni di guerriglia a livello scientifico. Simboli di una notte di follia. La notte in cui i genoani sono tornati a casa senza dare fuoco ai cassonetti. Né alla loro bandiera.

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