La notizia è una profanazione al tempio del
politicamente corretto: lo Stato si tirò indietro e non prorogò il 41
bis per 140 mafiosi. Correva il novembre ’93, il presidente del
Consiglio era il tecnico Carlo Azeglio Ciampi e Guardasigilli era
Giovanni Conso,l’insigne giurista di matrice cattolica già presidente
della Consulta. Nei giorni scorsi, davanti alla Commissione antimafia,
Conso è stato netto su un punto: «Non firmai per evitare altre stragi».
Un’ammissione clamorosa che Conso ha provato a circoscrivere: «Fu una
mia personale iniziativa». Inutile aggiungere che la postilla non
convince. Davvero, il ministro della Giustizia prese una decisione di
quella portata in totale solitudine?
Certo, fa riflettere che proprio il lodatissimo governo Ciampi, il governo tecnico,
il Governo per eccellenza secondo molti commentatori, abbia aperto una
falla così importante nella lotta a Cosa Nostra. Naturale pensare
maliziosamente, ma neanche poi troppo: forse quella revoca
inaspettata fu un segmento della mitica trattativa fra lo Stato e Cosa
Nostra al centro di una complessa indagine della Procura di Palermo.
Il contesto è quello terribile di quei mesi: la morte di Falcone e
Borsellino nell’estate del ’92,poi le bombe alle chiese e ai monumenti
del luglio ’93. All’inizio di novembre Conso decide di non rinnovare
i decreti per 140 mafiosi. Una scelta temeraria che fa tornare a
galla antichi e nuovi sospetti. Come mai Bernardo Provenzano già
all’inizio del ’ 93 rassicurava i picciotti che il carcere duro
sarebbe stato revocato?
Da dove gli arrivavano queste certezze?Siamo
nell’epoca dei governi Amato e Ciampi, siamo nella stagione degli
esecutivi tecnici, puri e immacolati per definizione. Tanto che molti
vorrebbero riproporre un esecutivo tecnico anche ora, per uccidere
dolcemente il berlusconismo. Eppure qualcosa non quadra e ora proprio
Conso ci dice che certi retropensieri avevano un fondamento. C’era
un canale di comunicazione fra i boss e lo Stato?
Attenzione: in
un appunto del 6 marzo ’93 l’allora direttore del Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria Nicolò Amato consiglia a Conso, fresco guardasigilli, il dietrofront sul carcere duro per i mafiosi. Naturalmente le ragioni di questo passo indietro sono da cercare nel garantismo di Amato che, in una lettera a Claudio Martelli, specifica: «Non vi è dubbio che la legge chiaramente configura il ricorso a questi decreti come uno strumento eccezionale e temporaneo, appunto emergenziale». Però lo stesso Nicolò Amato ci fa sapere che questa linea soft era stata discussa il 12 febbraio ’93 in un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Di più: al Viminale, nel corso di quella riunione,
si sarebbe discusso senza tanti spagnolismi della possibilità di
eliminare il carcere duro, scoperto e rilanciato invece dal «colluso»
Andreotti. Insomma, un dato pare a questo punto pacifico: non è vero
che lo Stato abbia sempre seguito, dopo la morte di Falcone, la strada
della fermezza. No, non è così, e la marcia indietro passò proprio da
uomini venerati come icone nazionali e considerati al di sopra delle
beghe meschine della politica.
Il presidente dell’Antimafia
Giuseppe Pisanu prova a mettere infila le date: fra il 27 e il 28
luglio avvengono le esplosioni diRomaeMilano.Il1˚novembre ’ 93 scade
un altro blocco di provvedimenti 41 bis, ma nel frattempo Cosa Nostra
tace. Imprevedibilmente, tre giorni dopo quella scadenza, il 4 e il 6
novembre, il ministro di Grazia e Giustizia non proroga il 41 bis a
140 detenuti. Se ne può desumere che la trattativa-ricatto abbia
prodotto i suoi effetti fra il 29 luglio e il 6 novembre? Domanda
inquietante cui Pisanu dà una prima risposta,nient’affatto
tranquillizzante: «È comunque plausibile ritenere che l’organizzazione
mafiosa avesse interpretato quella revoca come un cedimento o una
concessione dello Stato per i colpi subiti».
Insomma, alla
trattativa avviata nel ’92, secondo la magistratura palermitana, dal
tandem Mori- Ciancimino si devono forse affiancare altri incroci
fra pezzi delle istituzioni e frange criminali. E la scelta di Conso
pare il punto d’arrivo di un percorso compiuto da diversi soggetti .
Ovvio, in questa situazione, porsi la solita domanda: ma se un’ammissione del genere,così devastante,
l’avesse fatta Berlusconi o uno dei suoi ministri, che cosa sarebbe
accaduto? Ora,battaglioni di scrittori e polemisti sarebbero all’opera,
nel tentativo di far quadrare il cerchio e poter finalmente
dimostrare antichi teoremi, da sempre insegnati anche se privi di
riscontri. Invece, lo stesso Angelino Alfano alla fine dell’anno
scorso consegnava alla stampa i numeri da guerra del 41 bis: «Ho
disposto 168 provvedimenti in 580 giorni. I detenuti al 41 bis hanno
raggiunto quota 645».
Giovedì prossimo i pm di Palermo
ascolteranno proprio Nicolò Amato che a giugno ’93 è protagonista di un
altro episodio controverso, da allineare alle anomalie di quel
periodo oscuro: viene improvvisamente rimosso dalla direzione del
Dap e torna alla sua professione di avvocato. Curioso: assume proprio
la difesa di Vito Ciancimino. Tante suggestioni, anche
contraddittorie, che precedono la svolta «umanitaria » di Conso. E
dunque il regalo del governo Ciampi a Cosa Nostra sul 41 bis.
Il no al
carcere duro per paura delle bombe. Uno sfregio profondo alle
istituzioni e un segnale di resa che, solo a ripensarci, fa venire i brividi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.