Ma in tre anni questa gestione non ha trovato un euro

Assurdo chiedere soldi agli atleti, quando la federazione non riesce nemmeno a fare degli adesivi. E non è il modo migliore per cominciare la coppa

T utto cominciò a Bardonecchia, alla fine di marzo, in occasione dei campionati italiani assoluti. Il presidente federale Giovanni Morzenti convocò tutti gli atleti delle nazionali, dalla squadra A alla C, per comunicare l’intenzione di pretendere da loro il 30% sui guadagni derivanti dai loro contratti. Ma non, come avviene da anni, da quelli del cosiddetto secondo sponsor (che solo i big come Moelgg, Rocca o Karbon possono vantare), ma da tutti, in primis quelli delle aziende fornitrici di materiali tecnici (sci, scarponi, attacchi, caschi, maschere, guanti, bastoncini, protezioni) e quelli dello sponsor principale che appare sulla testa dei campioni.
È dalla fine degli anni Ottanta, dal periodo d’oro di Alberto Tomba per intenderci, che la federazione internazionale ha permesso agli sciatori di gareggiare con uno sponsor personale: fino ad allora gli atleti dello sci erano veri e propri dilettanti e clamorosa fu l’esclusione dai Giochi Olimpici del 1984 di Ingemar Stenmark e di Hanni Wenzel, colpevoli di essersi fatti rilasciare la “licenza B“ che consentiva loro di promuovere alcuni prodotti commerciali. Quella clamorosa e ingiusta decisione segnò la fine di un’epoca. Ma non portò a un’evoluzione vera e propria di mentalità, le federazioni nazionali infatti hanno continuato a mantenere il controllo sui loro atleti, facendoli allenare a proprie spese. Quando un atleta trova uno sponsor, il contratto viene siglato fra la federazione e lo sponsor stesso, i soldi entrano nelle casse federali, viene applicata la ritenuta d’acconto del 20% e quindi arrivano all’atleta. Come detto, se uno è tanto forte da procurarsi un secondo sponsor, la Fisi trattiene per sé il 30%. A Morzenti questo non basta più. Dagli atleti vuole ben altro. Forse vuole la guerra, visti i modi in cui la questione è stata riproposta ai primi di settembre a Ushuaia, in Argentina, dove il presidente è volato per rimettere sul tavolo la richiesta inoltrata a Bardonecchia.
In molti si sono chiesti: viste le difficoltà economiche della Fisi, era proprio il caso di spendere i soldi del viaggio presidenziale in Terra del Fuoco? Non si poteva parlarne a Milano? E ancora: è giusto che atleti arrivati finalmente a guadagnare bene debbano ora vedersi togliere il 30% da una federazione che non rimborsa nemmeno le spese di trasferta a chi scende dalle valli con la propria auto?
Morzenti minaccia di non iscrivere Moelgg, Blardone, Karbon e compagni a Sölden, dove il 25 ottobre ripartirà la coppa del mondo con un gigante femminile, seguito il 26 da un gigante maschile. Loro rispondono a muso duro: «Noi non paghiamo». E aggiungono, in coro: «Abbiamo fatto risultati, abbiamo promosso lo sci nel modo migliore. Ma nessuno è stato capace di trovare uno sponsor per le nostre giacche». Chi si era fatto avanti con offerte interessanti (ad esempio Mapei) è stato respinto, solo il gruppo dei giovani ha trovato, grazie a Flavio Roda, uno sponsor nella Ratiopharm. Nessuno in tre anni è riuscito nemmeno a far stampare degli adesivi da attaccare sui mezzi forniti dal gruppo Audi-Volkswagen e le squadre nazionali girano il mondo con furgoni anonimi che sembrano quelli dei panettieri.

Sarà anche giusto pretendere un contributo dagli atleti che guadagnano cifre superiori ai duecentomila euro (si contano sulle dita di una mano), ma i modi e i tempi della richiesta sono stati sbagliati, come ha detto la Karbon.

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