Tregua finita nella Margherita Parisi rovina la festa a Rutelli

Il braccio destro di Prodi e i fedelissimi disertano il «Big Talk» organizzato dal leader a Milano: «Ci ha discriminati»

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

Francesco Rutelli aveva immaginato il Big Talk organizzato a Milano come la giusta celebrazione della sua leadership: un’ora di relazione per annunciare il «programma di cambiamento per i primi cento giorni di governo» e un weekend di dibattiti conclusi da Romano Prodi, al cospetto di autorevoli ospiti dell’establishment industriale e finanziario. A rovinargli la festa ci ha pensato Arturo Parisi, presidente dell’assemblea federale della Margherita e leader della minoranza «prodiana», tornato a battere i piedi dopo la tregua seguita alle primarie e al rilancio del mitico partito democratico in nome dell’Ulivo. A Milano, Parisi non s’è visto, proprio come tre anni e mezzo fa, quando disertò l’ultima giornata del congresso fondativo di Parma e fece dire a Rutelli: «Peccato, consideravo Arturo come un fratello maggiore».
Proprio come allora, Parisi ha fatto di tutto per non nascondere la sua assenza, armando i luogotenenti con proclami di fuoco. Il messaggio è chiaro: Rutelli non s’illuda di disporre del partito a piacimento, la guerriglia continua e la minaccia di scissione è ancora valida.
Motivazione ufficiale dell’assenza di Parisi: Rutelli e il fidato coordinatore della segreteria Dario Franceschini hanno escluso la minoranza ulivista sia dalla preparazione dell’evento milanese, sia dai dibattiti. Una specie di apartheid, «basta vedere il programma per rendersene conto», spiega Willer Bordon, ambasciatore di Parisi al Big Talk, venuto «non come ulivista ma in veste istituzionale come presidente dei senatori». A poco vale la spiegazione di Franceschini (non siamo noi ad averli esclusi, sono loro che hanno abbandonato le cariche nel partito mesi fa), liquidate da Bordon con fastidio: «È una distinzione burocratica che non merita una risposta tanto è cretina».
Rutelli incassa l’assenza di Parisi senza alimentare polemiche (e fare pubblicità all’avversario). Richiesto di un commento, ostenta sorrisi e glissa: «Oggi si parla di programmi, c’è tempo per tutto il resto». Ma i suoi non lesinano punture velenose: «Parisi? Ormai è sempre più isolato e rappresenta solo se stesso, il suo è un atteggiamento adolescenziale». Attacca Renzo Lusetti: «Si è aggrappato a un pretesto, ha fatto un harakiri immotivato e inspiegabile». Sfotte Beppe Fioroni: «Ma qui è pieno di parisiani. E poi, se anche fossero solo quattro, sarebbero già tanti, la metà dei parisiani che sono sette-otto in tutto...».
Così, quando in serata arriva a sorpresa Romano Prodi «per ascoltare e sentire l’atmosfera, devo preparare il mio intervento», i rutelliano gongolano. E non solo perché gradiscono l’ospite. Quale migliore argomento della presenza del Professore per avvalorare la tesi del suo allontanamento da Parisi? Sospetto respinto dallo stesso leader dell’Unione: «Non diciamo sciocchezze per favore, la mia affezione a Parisi è molto profonda».
Fatto sta che oggi, quando Prodi chiuderà il Big Talk, a meno di sorprese Parisi non ci sarà. «Credo proprio di no», spiega il capogruppo alla Camera Pierluigi Castagnetti, che lo ha sentito per telefono solidarizzando: «L’ho detto anche a Rutelli e a Franceschini che hanno sbagliato».
Inferocito Franco Monaco: «Altro che pretesti, l’esclusione è nei fatti». «Molto addolorato per questo disagio» Enrico Letta, che si arruola tra i pontieri con lo stesso Castagnetti e Rosy Bindi. E quando gli si chiede «come mai accade questo? Dopo le primarie sembrava...», interrompe laconico: «Sembrava anche a me. Evidentemente no». «Molto stufa» invece l’europarlamentare ed ex ministro Patrizia Toia: «Siamo tutti ulivisti, non è che ogni volta bisogna dirlo».
Ma se l’obiettivo di Parisi era rovinare la festa a Rutelli, c’è riuscito per ammissione di Lusetti: «Sì, in effetti ce l’ha un po’ rovinata...». Perché ha oscurato il discorso di Rutelli e il suo «libro dei sogni» in sei capitoli per gli eventuali primi cento giorni di governo («Più concorrenza, meno sprechi e duplicazioni nel settore pubblico, più innovazione, meno tasse sul lavoro, più welfare familiare e generazionale, nuove politiche per le città»), infarcito di citazioni: dal poeta inglese del ’600 Abraham Cowley al sociologo catalano Manuel Castells.


Apprezza Piero Fassino, nonostante il passaggio sulle scalate bancarie che dividono Ds e Margherita. «Condivido i principi sulla concorrenza - spiega l’ospite Fedele Confalonieri - quindi un 20 per cento della relazione».
Comunque più di Parisi, pare.
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it

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