Tremaglia e i paradossi del fascista duro e puro

Fu a Salò, nell’Msi e in An, ma poi seguì Fini. Uomo d’azione, il suo "capolavoro" fu il figlio intellettuale

Tremaglia e i paradossi  del fascista duro e puro

È morto ieri, a 85 anni, Mirko Tremaglia. Ex ragazzo di Salò, esponente del Msi, poi di An, aveva seguito Gianfranco Fini in Futuro e libertà. Nato a Bergamo nel 1926, laureato in Giurisprudenza, avvocato, è stato deputato in 11 legislature. Ministro degli Italia­ni nel mondo, sua è la legge che ha riconosciuto il di­­ritto di voto degli italiani residenti all’estero. I fune­rali saranno celebrati lunedì 2 gennaio a Bergamo.

Sì, è morto l’ultimo fascista dichiarato e non penti­to che sedeva in Parlamento. Mirko Tremaglia, vec­chio leone, fascista indomito, per dirla nel suo lin­guaggio da combattente e camerata. Espansivo ed estroverso, ricco di umanità, non sembrava ai miei occhi terronici un bergamasco. Di lui molti ammiravano la coerenza e al­­trettanti deploravano la testar­daggine. Ma dietro la fedeltà al Duce, Tremaglia viaggiò molto dal suo fascismo rivoluzionario della gioventù; lasciò le origina­rie posizioni sociali da fascismo di Salò, Corporativismo&Socia­lizzazione, per sposare un fasci­smo d’ordine, giustizialista e filo­americano. Fu fascista ma non di quelli crepuscolari o catacomba­li; sapeva farsi valere anche da missino, intrecciava relazioni po­litiche e rapporti personali an­che con avversari e uomini delle istituzioni. Fu tra i primi sponsor di Di Pietro, Cossiga e Mani puli­te. Fu fascista di Salò ma accettò le cure termali di Fiuggi e aderì ad Alleanza Nazionale. Fu fasci­sta repubblicano ma sostenne Israele e i falchi americani. Patì la perdita di suo figlio Marzio ma anche il suo prestigio, che oscura­va quello di suo padre. Quella morte prematura lo invecchiò di colpo, e per anni visse nel ricor­do di lui, con una teatralità del do­lore tipica delle culture siculo­mediterranee. Ricordo una gran­diosa manifestazione a Berga­mo, stracolma di gente, in cui par­lammo di Marzio, con Fassino, Fi­ni e Cardini. Per lungo tempo lui portò il suo dolore paterno, genu­ino e plateale, in processione per l’Italia e in ogni occasione.Ricor­do un suo pianto anche in una manifestazione al Vittoriano da Ministro per gli italiani all’este­ro.

Sanguigno e tuonante, incline al fascismo duro e puro e al pian­to tenero e sentimentale, la para­bola politica ed esistenziale di Tremaglia è segnata da tre para­dossi. Fu Irriducibile fascista, mi­litante fedele del fascismo di Sa­lò, del vecchio Msi e poi di An, ma alla fine seguì il becchino di tutti e tre, Fini, aderendo a Futuro e Li­bertà; lui che era tutto Nostalgia e Autorità. Secondo paradosso: spese una vita per gli italiani al­l’estero, si prodigò per loro, fon­dò i comitati tricolore e volle la legge che consentiva il voto ai no­stri emigrati; pensava a un trion­fo ma la sua lista ottenne un solo seggio su 18 e grazie alla sua leg­ge il governo Prodi ebbe la mag­gioranza assoluta in Senato. Ter­zo paradosso: era un fascista d’azione, diffidente verso le elu­cubrazioni degli intellettuali e il culturame, ma il destino gli gio­cò uno scherzo feroce e benedet­to: suo figlio Marzio tradì il cliché del fascista attivista, fu un raffina­to intellettuale prestato alla poli­tica, gran promotore di idee e as­sessore lombardo alla cultura. Anzi «il miglior assessore alla cul­­tura d’Italia » disse una volta Wal­ter Veltroni, e non lo disse in un elogio funebre, ma quando Mar­zio era ancora assessore in carica (lo disse anche a me, ricordo, era­vamo a Parigi e lui era ministro dei Beni culturali).

In fondo, la più grande eredità di Mirko è morta prima di lui: è Marzio, suo figlio, politico colto e illuminato. I saluti romani sono fuori luo­go, fuori tempo e fuori legge ma consentite almeno l’estremo sa­luto romano per i fascisti moren­ti, unito al congedo che lui avreb­be voluto: camerata Mirko Tre­maglia presente.

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