nostro inviato a Chianciano
Trentasette gradi. Via la giacca e parte il primo applauso. «Guglielmo, fallo pure tu». Anche il secondo arriva presto. Gli basta pronunciare qualche parola di cortesia, «senza retorica, è davvero un grande onore per me essere qui da voi, l'ultima volta è stata nel 1994», per far venire giù il Palamontepaschi gremito di delegati. Per il terzo battimani Giulio Tremonti invece deve aspettare unoretta, quando sostiene che in fondo lui e la Cgil non sono poi così lontani: «Credo che, insieme a voi, stiamo dalla stessa parte della storia, quella giusta. Pensiamo tutti che non deve essere il mercato a dominare la politica, ma il contrario».
Le foto, la stretta di mano con Epifani, i sorrisi, affettuosità sparse: «Caro Giulio», «Caro Guglielmo». E' dunque questa la fossa di leoni, larena rossa e infuocata che aspetta il ministro dell'Economia? Allinizio forse Tremonti è un po teso. «Sarà unottima palestra, un buon allenamento in vista della Cina. Sapete, mi hanno invitato a tenere una lezione sulla crisi mondiale della scuola del partito comunista, sono previste otto ore di dibattito...». Una voce dalla sala lo interrompe: «Ma lo sai che noi siamo diversi, qui non ammazziamo nessuno».
Risate, altri convenevoli. Il ghiaccio è rotto, il ministro può cominciare a dire la sua situazione economica. Sintetizza tutto in due punti. «Primo, la crisi è globale perché è effetto della globalizzazione. Nasce da lontano, dalla caduta del Muro, e forse le autorità internazionali se ne potevano accorgere prima. Secondo, ci ha colpito sul nostro settore di forza, l'import-export e l'industria manifatturiera. Il governo sta facendo quanto deve, cerca risposte specifiche, adatte alla nostra realtà». Epifani ovviamente non è molto daccordo. Secondo lui «è stato fatto troppo poco, servono misure fiscali mirate e sostegni alla spesa popolare, più investimenti nel settore della manifattura».Si dibatte, si puntualizza, si polemizza. Ma il tono del confronto è lieve e nessuno dei due sul ring purpureo di Chianciano sembra aver voglia di menare le mani. Chi si aspettava un duello rusticano, un braccio di ferro tra il più rappresentativo dei ministri di Berlusconi e il campione del sindacato rosso, resta deluso. Epifani incalza, è leggermente più aggressivo, ma si vede da lontano che non vuole rompere. E Tremonti, poi, appare impegnato in una grande operazione diplomatica: riconquistare la Cgil. E se dopo un paio d'ore di faccia a faccia non conquista il consenso, sicuramente conquista lattenzione.
Sotto il tendone infatti non vola una mosca quando parla del vertice dell'Aquila. Quando spiega che il G8 in dieci anni è cambiato e invecchiato perché non ha più i suoi collanti: il dollaro, la lingua inglese, lottanta per cento del prodotto mondiale, i valori della democrazia occidentali. O quando dice che il G20 «è squilibrato» perché cè meno democrazia e manca lAfrica, ma uno sbocco naturale. O anche quando racconta come lItalia si è messa alla testa della nuova politica economica mondiale, imponendo la sua agenda che prevede un mercato con regole non solo tecniche, «se non vogliamo che dopo questa crisi se ne apra un'altra».
Epifani non lo contraddice. Anzi, su certe cose concorda. «Lanalisi del ministro sullo scenario mondiale è corretta, ci sono troppi squilibri. Noi lo diciamo da tempo». Cita pure i libri di Tremonti. «Hai ragione quando parli di regole». Ma sui provvedimenti del governo, su quello proprio non può cedere le armi, dopo le liti di solo poche ore prima: «Manca unidea, un progetto, hanno pagato solo le donne. E adesso ti faccio arrabbiare.
Ma il focoso Giulio stavolta non sarrabbia. Si limita rispondere con un pizzico di puntiglio. «Il Dpef è un bilancio e anche un sunto di ciò che cè da fare. Ci giudicherete voi. E gli italiani».
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