Tremonti e il dubbio di essere presi in giro

Una scossa per lo sviluppo "a costo zero", la sua teoria, la sua teoria, è una contraddizione in termini, è come una dieta dimagrante composta di molta pasta alla matriciana e di molta cassouela (me ne intendo, più che di economia e scienza delle finanze)  

Tremonti e il dubbio 
di essere presi in giro

Che cos’è un governo, caro Tremonti? Uno come lei ce lo può insegnare. È soprattutto la capacità di decidere, oltre che di amministrare, affidata a un primus inter pares, il presidente del Consiglio. Questo è vero tanto più quando il capo del governo è il leader della maggioranza, nel sistema maggioritario. Può decidere qualcosa di rilevante per la vita del paese, sia pure nell’ambito di una cooperazione collegiale, un presidente privo della facoltà di indirizzare la spesa, di dire la sua sulle entrate (riforme fiscali), di incentivare la crescita al momento giusto, intrecciando le scelte economiche con quelle politiche e di politica europea? Evidentemente non può.

Lo dimostra il caso dell’ormai famosa frustata al cavallo dell’economia per portare l’incremento della ricchezza prodotta al 3-4 per cento in cinque anni e curare così, con riforme fiscali e liberalizzazioni radicali, il debito pubblico al 118 per cento del Pil che ci ritroviamo sul groppone. Nel suo intuito, il premier si è detto: gente che conta (e che non è estranea al mio caro Colbert) comincia a parlare di imposta patrimoniale sul giornale dell’establishment (Amato, Veltroni, Capaldo), intanto si avvicina l’11 marzo con l’avvio a Bruxelles della cooperazione rafforzata per la competitività dell’area euro, e la Germania vuole certo lo sviluppo ma esige anche quel che le conviene in cambio del suo ombrello protettivo sulle economie europee indebitate, cioè una «botta secca» o una serie di «botte secche» per ridurre i grandi debiti.

E Berlusconi da questa analisi ha tratto l’unica conclusione possibile per la sua leadership, la sua maggioranza, il suo governo: stangate e patrimoniali no, proprio no, la nostra crescita è allo 0,8 per cento mentre quella tedesca è al 3,6, sarebbe follia deprimerla ancora elevando ad altezze stellari la pressione fiscale e tradendo la fiducia degli elettori del Pdl e della Lega, e dunque c’è solo la via virtuosa della frustata, del recupero del Sud a una logica di sviluppo moderna, e di una spinta liberista e pro mercato, pro concorrenza, che investa come una scossa elettrica l’intero paese.

Un primo passo mercoledì scorso il governo l’ha fatto, in particolare con quella riforma-manifesto dell’articolo 41 della Costituzione ideata e lanciata proprio da lei, caro ministro: l’economia è libera, salvo ciò che è espressamente vietato dalla legge. Mica male. Hanno voglia di ridere. Se passa, è tutta una filosofia un po’ sovietica di vita che viene cancellata, ventidue anni dopo la caduta del muro di Berlino. Solidarietà sociale e rispetto dell’ambiente resteranno vincoli legali fermi, anche con il federalismo fiscale, altra genialata di Tremonti e Bossi, ma un’antica costumanza di sottomissione al destino e allo Stato potrebbe ricevere un colpo decisivo. Ci vorrà tempo, ma: se non sono io per me, chi sarà per me? E se sono solo per me, che cosa sono? E se non ora, quando? Lo diceva un grande rabbino del primo tempo cristiano, che la sapeva lunga a proposito di santificazione della libertà e della responsabilità.

Purtroppo bisogna aggiungere che, volontarismo a parte, il passettino è timido, la frustata il cavallo la sentirà appena. Una scossa per lo sviluppo «a costo zero», la sua teoria, è una contraddizione in termini, è come una dieta dimagrante composta di molta pasta all’amatriciana e di molta cassoeula (me ne intendo, più che di economia e scienza delle finanze). E qui una responsabilità sua, gentile Tremonti, c’è, eccome se c’è. Se il ministro dell’Economia fa finta di niente, se tace e mugugna, se scompare nel momento di decidere, se non aiuta, e se addirittura ostenta sufficienza sprezzante verso i poveretti alla stanga che remano per la crescita, se dice che deve prendere un treno e in cinque minuti si allontana dalla conferenza stampa, e se poi aggiunge che tanto la politica economica si decide in Europa, e magari ammicca al fatto che ci vorrà un’altra stangata e forse, perché no?, un prelievo sul patrimonio mobiliare, be’, la sensazione della presa in giro è forte.

A me piace chi sa dire di no, come Tremonti. Ho anche un amico in alto loco, lei pure lo conosce, che tento da sedici anni di convincere a praticare in politica la lingua del nega. Ma lei, caro superministro, deve darci una bozza di soluzione, spiegarcela. C’è l’assedio giudiziario a un governo che è anche suo. C’è il disagio potente del Nord e delle partite Iva. C’è il Sud asfissiato da una gassosa impotenza. C’è la Fiat che va per i fatti suoi, e non potrebbe far altro, almeno prova a frustare il ciuccio come si deve, cerca una strada per investire e per la crescita sta con il governo.



Io non credo che lei coltivi l’ambizione meschina di restare in piedi tra le macerie della sua casa politica: le attribuiscono questa cinica intenzione, sussurrando, i suoi detrattori. Io sono tra i suoi ammiratori (carattere a parte). Ma ci deve dire, per correttezza istituzionale e politica, perché lei è tanto sordo quando si parla di sviluppo e di crescita economica. Perché?

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