Melbourne - Il palmo della mano di Laurie Manaudou,
la superwoman francese innamorata
di Luca Marin, siciliano purosangue,
si è levato per far vedere la scritta:
«Love». Il pugno di Filippo Magnini si è
levato per dire: ci sono. Due modi di vincere
e stravincere. I mondiali di nuoto
hanno subito trovato la loro regina. L’Italia
del nuoto ha riscoperto il fascino del
successo di squadra. Magnini si è abbattuto
come uno tsunami, gli altri si sono
fatti trascinare. Argento per la staffetta
4x100 stile libero, un classico dei modi di
vivere “quattro per”. Quattro per un record
europeo abbattuto, anzi sradicato
(3’14”04 contro 3’14”06). Apparteneva
ai russi allora guidati dallo zar Popov. E
torniamo ai mondiali di Barcellona
2003. Quattro per un argento che rappresenta
la seconda medaglia mondiale conquistata
dall’Italia
nella staffetta
maschile.E si torna
ai mondiali di
Calì, anno di grazia
1975 in cui Barelli,
Pangaro,
Zei e Guarducci
conquistarono un
bronzo.Eieri Paolo
Barelli, oggi
presidente federale,
ha lucidato
il ricordo con i
suoi eredi.
Quattro per dimostrare
la bontà di
un movimento: la
staffetta ti dice
che non hai in mano
un campione
isolato, ma un
gruppo che fa
squadra e qualche
volta risultato.
Staffetta che
può salvare la faccia
a Rosolino, finito
nell’abisso
dopo i 400 metri:
eliminato in qualificazione
nella
stessa batteria di
Hackett. «Così ho
toccato il cielo con un dito».
L’argento della staffetta è
stato l’atto conclusivo di
una giornata in cui il nostro
nuoto ha fatto rullare i tamburi:
un argento nel fondo,
un bronzo dalla Cagnotto in
una disciplina tradizionale
e olimpica, il successo delle
donne della pallanuoto (7-6
all’Olanda), la Pellegrini che
batte due volte il record italiano
dei 400 metri (ora è attestato
a 4’05”79, prima segnava
4’08”43 ed era della
Filippi), la conferma delle
qualità di Federico Colbertaldo,
veneto di Valdobbiabene
con la testa sui computer
e la nuotata da grandi distanze
che lo ha portato alla
finale dei 400 metri (sesto),
lo straordinario rush finale
di Magnini, diavolo e acqua
santa di un gruppo che senza
di lui sarebbe rimasto
anonimo.
Due staffette e due prove di
forza. Al mattino la nostra
nazionale ha conquistato il
miglior tempo e tutti a dire:
Magnini strepitoso. Alla sera
il gran finale: americani
subito imprendibili, Phelps
in prima frazione a caccia
del primo oro degli otto da
lui previsti, poi Cullen Jones
a caccia di una fama che non
deve venirgli solo dalla pelle,
infine Lezak a completare
l’opera, mentre da dietro
l’onda anomala di Magnini
ha preso a ingrossare. Il nostro
si è scatenato per mangiarsi
il sudafricano Schoeman,
quello che lo ha definito
poco umile, non ha visto i
francesi che finiranno terzi,
si è messo in scia di Lezak.
Tempo di frazione 47”18 (il
record del mondo
è 47”84). L’americano
(47”32) ha
mollato meno degli
altri che hanno
navigato sopra i
48 secondi. Solo
Schoeman ha
chiuso in 47”98.
Tutto questo per
dimostrare che
Magnini è pronto
per difendere la
corona. Senza
sbruffonerie: «Oggi
sono stato il più
veloce. Fra due
giorni vedremo».
È partito dalla sesta
posizione. «E
non è facile trovarsi
così indietro.
Però ho capito
che, male che
vada, potrò ripetere
il tempo diMontreal.
Sono molto
contento perché
mi sento bene». È
arrivato al secondo
tempo facendo
venire qualche
rimpianto. «Ed
ho dimostrato
che la staffetta è cresciuta».
Staffetta costruita escludendo
il veterano Vismara e credendo
soprattutto in Christian
Galenda, «brontolo»
della compagnia. Squadra
affidata alla grinta di Rosolino
e alla fragilità di Alessando
Calvi, carabiniere di Voghera,
eternamente dal meccanico
inteso come fisioterapista:
«Ho due tendini su
quattro con piccole lesioni e
il capo lungo del bicipite fuori
sede. Non sono proprio un
esempio di salute». Un bel
volo di squadra in attesa dell’assolo
del condor.
E se Magnini sta bene, Federica
Pellegrini può tornare
con il sorriso dopo la prima
esplorazione nei 400 stile libero.
Ha chiuso quinta una
finale che forse poteva darle
qualcosa in più. In mattinata
aveva nuotato nella scia
della Manaudou, con tanto
di record italiano. A sera le
altre hanno aumentato il
passo, lei pure ma non è bastato
per toccare la medaglia.
«Ero una matricola, però
mi sono fatta sentire.Esono
contenta di com’è finita».
Strana la vita: una volta piangeva
avendo in mano una
medaglia. Ora sorride per
molto meno.
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