«Questo bambino finirà sulla forca» è il commento del signor Limbkins quando gli viene resa nota linaudita richiesta del piccolo orfano Oliver: unaltra scodella di polentina... Chi voglia conoscere le terribili condizioni dellinfanzia abbandonata e, in genere, delle classi povere dellInghilterra a metà Ottocento, e non ha il tempo o la voglia di leggere Dickens, vada al cinema a vedere Oliver Twist, il film di Roman Polanski tratto dallomonimo romanzo: squallore, miseria, arbitrio e sopruso, giustizia supponente e cieca. Eppure quella stessa Inghilterra è la culla della civiltà liberale, la patria delle libertà civili, il baluardo eretto contro i dispotisimi e gli assolutismi. Sì, ha combattuto e perso una guerra per negare oltreoceano quei diritti alla libertà e alla civiltà di cui si fa paladina («non vogliamo essere i loro negri» è il grido di battaglia dei coloni americani, che i «propri negri» non vogliono comunque mollare...), sì, pratica arricchendosi il commercio di schiavi, sì è un impero che si regge sullo sfruttamento delle risorse altrui, sì, ancora alla vigilia della Prima guerra mondiale ignora il suffragio universale maschile... Sì, ma, tuttavia, insommma...
Nella sua Storia dellInghilterra contemporanea J.P. Taylor traccia rapito il «paradigma storico della civiltà liberale»: «Fino allagosto 1914 un inglese giudizioso e osservante delle leggi avrebbe potuto trascorrere la vita senza quasi accorgersi dellesistenza dello Stato. Poteva abitare dove e come gli pareva. Non aveva numero ufficiale né carta didentità. Poteva viaggiare allestero e lasciare il suo Paese per sempre senza avere bisogno di passaporto e di autorizzazioni di qualsiasi forma... Diversamente da quanto accadeva nei Paesi del continente europeo, lo Stato non chiedeva ai suoi cittadini di prestare servizio militare... Il cittadino adulto era lasciato a sé stesso». E però, perché questo «paradigma storico della civiltà liberale» stia in piedi è necessario che 50 milioni di africani e 250 milioni di indiani vengano coinvolti, senza essere interpellati, in un conflitto mondiale di cui ignorano tutto, è necessario stroncare nel sangue lunica insurrezione nazionale, quella irlandese, avvenuta in un Paese europeo durante la Grande guerra, è necessaria unintera sottoclasse di spie e di informatori per controllare e/o stroncare le istanze sindacali senza diritto di cittadinanza...
Fra i tanti meriti che ha il saggio di Domenico Losurdo Controstoria del liberalismo (Laterza, pagg. 374, euro 24) il più importante è la continua sottolineatura delle aporie del pensiero liberale a petto della realtà effettuale delle cose, ovvero la creazione di una teoria grazie alla quale una comunità che si atteggia «a rappresentante esclusiva della causa della libertà interpreta le sfide che di volta in volta si trova a dover affrontare quali attacchi alla libertà, quali espressioni di spirito servile, oltre che di barbarie».
Nota Losurdo che «il ristretto spazio sacro della comunità dei liberi ha senso solo se si fa astrazione del profano che lo circonda». Assoluta preminenza della libertà individuale, antistatalismo, individualismo, le categorie utilizzate di solito per tracciare la storia dellOccidente liberale dimostrano la loro inconsistenza nel momento in cui «gli schiavi delle colonie e i servi delle metropoli» intervengono sulla scena. Il Mandeville celebrato da von Hayek come campione dellindivdualismo e dellantistatalismo è lo stesso che assiste indisturbato alle «quotidiane impiccagioni di miserabili per delle inezie» e che chiede su di loro un controllo dello Stato sin dallinfanzia...
Campione del pensiero liberale Tocqueville in La Democrazia in America concentra la sua attenzione nello «spazio sacro» della comunità bianca. Così facendo celebra come luogo della libertà uno dei pochi Paesi del Nuovo mondo in cui vige e fiorisce la schiavitù-merce su base razziale e che, al momento del suo viaggio, ha come presidente Jackson, proprietario di schiavi, protagonista di una politica di deportazione e decimazione a danno dei pellerossa, contrario a tal punto allabolizionismo da bloccare la diffusione postale della propaganda in tal senso e da colpire così la libertà despressione della stessa comunità bianca.
Contro lo storicismo volgare che invita a contestualizzare, a oggettivare, a comprendere lo Spirito del Tempo, Losurdo ha buon gioco allorché fa notare come «il paradosso che caratterizza la rivoluzione americana e il primo liberalismo risulti, sotto questo profilo, ancora più netto: un movimento politico in controtendenza rispetto ad autori che, già secoli prima, avevano pronunciato una condanna senza appello dellistituto della schiavitù. Se Locke, campione della lotta contro lassolutismo monarchico, giustifica il potere assoluto del padrone bianco sullo schiavo nero, a condannare tale potere è un teorico dellassolutismo monarchico qual è Bodin».
Indagando contraddizioni e zone dombra lautore mette in evidenza la difficoltà di conciliare la difesa teorica delle libertà individuali con la realtà dei rapporti politici e sociali: assimilazione dei lavoratori salariali a strumenti di lavoro, teorizzazione del dispotismo e persino della schiavitù a carico dei popopoli coloniali viaggiano così nella tradizione liberale di pari passo con la celebrazione della libertà.
Dare per scontato il mito del passaggio interno, graduale e pacifico, dal liberalismo alla democrazia è unaltra delle connotazioni agiografiche che questa «controstoria» ha il pregio di rilevare. Non solo perché i classici della tradizione liberale parlano «con distacco, ostilità e talvolta con aperto disprezzo della democrazia». Ma anche perché le tappe che configurano questo passaggio non sono mai state indolori: «Labolizione della schiavitù sullonda della guerra di Secessione è costata agli Stati Uniti più vittime che non i due conflitti mondiali. Alla cancellazione della disciminazione censitaria ha dato un contributo decisivo il ciclo rivoluzionario francese. In grandi Paesi come la Russia, la Germania, gli Stati Uniti, laccesso delle donne ai diritti politici ha alle spalle gli sconvolgimenti bellici e rivoluzionari degli inizi del Novecento».
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