Tutto il mondo è paese E sono tutti molto italiani...

Viaggiare negli Stati Uniti per un congresso è un'esperienza sempre istruttiva. Innanzitutto perché ti ricorda la differenza tra il grande e l'enorme, cosa che per gli americani fa normalità. La hall dell'albergo, per esempio, è praticamente un palazzo, l'organizzazione mastodontica, il cibo sempre esagerato. E in tutti i sensi: un piatto americano sfamerebbe una nostra intera famiglia, ma loro mangiano senza indugiare, aggiungendoci poi magari birra (mega), dolce (mega) e caffè (americano...). Nel quale alla fine mettono, con un senso tutto loro, del latte «low fat».
Ma comunque istruttivo resta sempre il senso che negli Usa hanno dell'evento: anche se parlano di tecnologia, riescono a radunare 6000 delegati di tutto il mondo trattando l'argomento come fosse uno show. E il teatro, naturalmente, è solo una piccola parte del centro congressi. C'è dunque da imparare, anche nell'utilizzo della terza età come forza lavoro, visto che buona parte degli addetti reclutati per l'evento è raccolto tra i pensionati della zona. Tutti molto gentili, come da addestramento, in un turbinio di «come va?», «tutto bene?», «buona giornata!».
Insomma: una macchina perfetta. Che però, per fortuna, ogni tanto si inceppa.

Ad esempio quando per sbaglio viene inviato un sms a tutti i presenti con l'invito a ritirare un gadget: in pochi minuti, in quella stanza, si radunano centinaia di persone e il mondo finalmente diventa una sola comunità, tra l’altro difficile da convincere dell’errore. E allora alla fine diciamolo: l'America è bella. Ma poi in fondo, in certe occasioni, tutto il mondo è paese. E soprattutto sono tutti un po' italiani.

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