Tutto crescendo può essere migliorato ma dopo due tentativi fallimentari di MiWine, la fiera milanese del vino che alla lunga ha finito per fare ancora più grande il Vinitaly di Verona, e dopo, maggio 2007, la prima volta di Tuttofood, con la seconda edizione appena archiviata si può dire che chi è entrato in uno dei quattro padiglioni della fiera di Rho si è misurato con una manifestazione reale. Tale la fragilità due primavere fa, che si disse «tutto fud e poco arrosto». Questa volta invece, ha iniziato a esserci anche la polpa, cosa che spiega le paure di Parma, alla quale Cibus (anni pari) sta come il Vinitaly a Verona: fondamentali per entrambi. Con una differenza o due però: Verona è ben più robusta e servita (aeroporto, autostrade e treni) di Parma che, non bastasse, non può vantare lExpo 2015. È come se da Milano fosse partito un treno che tra sei anni arriverà a un capolinea che si chiama Milano dopo avere fatto due soste, 2011 e 2013, sempre a Milano. Non bisogna essere Holmes per intuire che più ci avvicinerà alla esposizione internazionale e più il capoluogo lombardo calamiterà attenzioni e investimenti. E la crisi economica farà il resto perché, al di là di unintesa che i due enti fieristici non hanno mai ratificato, quegli espositori che non potranno permettersi Tuttofood negli anni dispari e Cibus in quelli pari, cosa sceglieranno? La consuetudine logisticamente scomoda o un futuro più comodo e potenzialmente luccicante?
Sandro Bicocchi, amministratore di Fiera Milano International, nel commentare i dati sorride e arriva a concedersi una citazione dotta, il Platone che ricorda come «il bello è lo splendore del vero». Ne ha motivo: i visitatori, trentamila in quattro giornate, un quarto gli stranieri, sono aumentati del 35 per cento ed è già fissata la data della terza edizione, dall8 all11 giugno 2011. «Hanno esposto 1.550 aziende su una superficie di 74mila metri quadrati. E ci tengo a rimarcare come questultimo dato va pesato in chiave di innovazione fieristica, internazionalizzazione e bellezza. Un ente non vende più i metri quadri, bensì la qualità del metro cubo».
Traduzione: in epoca di vacche magre, va spremuto lingegno, costose soluzioni elefantiache per impressionare non hanno più senso, basta poco spazio ma quel poco va riempito di idee vere e, possibilmente, vincenti. Quattro padiglioni, formaggi e latticini nel 24 con i dolci, carne e salumi accanto nel 22, i surgelati al 13 e così via. Niente macchinari, tifo forni, friggitrici, mantecatrici, poca comunicazione sulla città che non ha beneficiato di un fuori salone come accade con il mobile nonostante cibo e vino siano graditi a tutti. Però è anche vero che, tale il vuoto del 2007, per gli organizzatori era fondamentale la fiera in sé. Sempre Bicocchi: «Le caratteristiche del progetto sono in perfetta linea con il valore aggiunto rappresentato dallExpo. Le migliori aziende stanno già prenotando il loro posto in prima fila».
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